tokyo

Il fiume Kanda, l’autunno che si apre.

Andando a Jimbocho per il festival della lettura, uscendo dalla Sobu Line si e’ aperto alla vista uno scorcio che mi ha fatto tirare fuori dalla borsa la macchinetta fotografica e mi ha fatto dirigere a rapidi passi verso il limitare della banchina.
Questa foto ingranditela, osservatela…

Luce che strazia il bianco dei palazzi in lontananza. Il ponte su cui si distingue chiaramente il profilo dei passanti che lo attraversano in entrambe le direzioni. A destra s’apre l’autunno. Sotto scorre il fiume Kanda e il verde sembra sbrodolare dalle rotaie.
Ecco la Chuo Line con l’arancio acceso delle sue carrozze. L’addetto della stazione annuncia l’arrivo del treno, poi imbraccia la bandierina rossa e un ponticello pieghevole che aiutera’ chi, da quel treno e da quella precisa carrozza, scendera’ in sedia a rotelle. Per eliminare il dislivello tra il convoglio e la banchina.

In giorni pieni zeppi di studio, in cui l’esame di dottorato si avvicina e la sensazione di non sapere mai abbastanza e’ forte, avevo proprio bisogno di uno scorcio come questo. Di un ricordo di sabato mattina da tenere stretto nella mente.

Tramonto tokyota I

Poco di mezzora al tramonto. Infilo di corsa i libri, il computer e il dizionario nella borsa. Mando giu’ l’ultimo sorso di “caffe’ cioccolata” nel bicchiere e, uscendo dalla panetteria e inforcando la bici, concordo ancora una volta con il mio corpo che questa e’ una giornata troppo calda per essere di fine ottobre. Un giorno da maniche corte e sandali.

Pedalo in fretta, manca poco al tramonto. E sul lungo ponte di ferro che collega i due lati nord e sud della ferrovia, voglio salire prima che faccia buio.
E’ un punto elevato da cui osservare un pezzetto di Tokyo e guardare sotto i treni sfrecciare. La linea Chuo. La Tozai. La Sobu.

A volte vi trovo studenti seduti a terra, appassionati con grosse macchine fotografiche, bambini con le mamme. Tutti guardano giu’ oltre la gabbia di ferro che si alza su entrambi i lati del ponte, indicano i treni, li fotografano. Oppure guardano in alto. Il cielo cambiare colore.

Il sole si fa rosso. Vedo finalmente il tramonto che cercavo. Ma non solo. Ci sono anche stormi di uccellini che si posano sui pali della luce, sui fili di collegamento.
Ed ogni volta che passa un treno si alzano in volo e cambiano ancora una volta posizione.

*Foto scattata stasera. Alle 17 circa.

Delle fermate intermedie e delle piccole scoperte

Dei tanti programmi, uno. Il sabato mattina sulla Nihon Television.
「ぶらり途中下車の旅」 (Burari tochu gesha no tabi)

Ogni settimana viene scelta una linea tranviaria del Kanto e un tratto da percorrere. Un personaggio dello spettacolo, di volta in volta differente, fa da cicerone al piccolo viaggio di scoperta che lo attende.

Il programma si basa sull’idea di scendere alle stazioni intermedie. Ad esempio, si decide di prendere la Linea Inokashira che da Kichijoji porta a Shibuya e viceversa? Ebbene, si scendera’ ad una stazione che non si è mai visitata, saltando invece quelle più famose e frequentate. Perdendosi per le stradine di un quartiere di cui si è fino ad allora sentito annunciare solo il nome.

E così si uscirà a quella stazione sconosciuta. E, spinti da curiosità, ci si soffermerà su un’insegna, sul volto concentrato di qualcuno, si leggerà tra le righe di un menù e da lì inizierà lo stupore. Perchè basta fare una domanda. “Cosa significa…?”, “Che lavoro fate?” “Esattamente qui cosa vendete?” “Come mai…?”
Ed è incredibile quante meraviglie celino le strade di “anonimi” quartieri.

A guardarlo questo splendido programma, così semplice ma sorretto da un’idea geniale, viene voglia di fermarsi. In movimento verso la propria meta. Viene voglia persino di cambiarla quella meta. Spezzettarla e rendere IL viaggio TANTI viaggi. Parcellizzando. Duplicando. Triplicando.

Tokyo è immensa. Impossibile percorrerla tutta. Ma vale la pena di fermarsi. Di non giungere sempre a Shibuya o a Kichijoji. Vale la pena di saltare Shimokitazawa. E andare alla scoperta di quartieri sconosciuti.

E si può applicarlo ovunque questo gioco dello scendere “alle stazioni intermedie”. Non serve che sia Tokyo. Neppure che sia Kyoto. Può essere Roma, Milano. Può essere New York o Barcellona. Lisbona, San Francisco, Berlino. Ma anche Syracuse, Torino, Latina o Reggio Calabria. Ma anche…

°In foto la mia amata Kichijoji e l’illustrazione del programma

Di alcuni vicoletti sconosciuti di Tokyo

Dei tanti vicoli di Shinjuku, questo è uno dei miei preferiti in assoluto.

A pochissima distanza dall’uscita Ovest della stazione di Shinjuku troverete 思い出横丁 “Omoide-yokochō”.

Si tratta di vecchie strutture che ospitano negozietti ma soprattutto ristorantini alla mano.

Un’atmosfera a volte intima, a volte frettolosa. Mai elegante.
In cui la compagnia si accompagna a qualche birra (生ビール o 缶ビール) e vi si trascorre il tempo di un pasto o di una serata intera.
Potreste incontrarvi salary-man al ritorno dal lavoro, impiegati impegnati in etilici nomikai, coppiette o studenti dell’università.

Personalmente non mi sono mai fermata a mangiare ma ogni volta che mi trovo a passare lì accanto faccio in modo da infilarmi nell’intricato, benchè semplice, sistema di stradine. Soprattutto in quello di Kichijoji, assai più ampio e, volendo, anche curato (ハモニカ横丁 Hamonika-yokochō). Vi sono, infatti, parecchie strutture simili sparse per tutta la città.

思い出横丁 “Omoide-yokochō” è un nostalgico agglomerato all’apparenza fatiscente ma che vale la pena anche solo attraversare. Del resto è il nome stesso che lo suggerisce. Omoide, infatti, significa “ricordo” in giapponese.

Griglie di yakitori e voci di donne e uomini che invitano ad entrare.

思い出横丁 “Omoide-yokochō”, in fondo, è tutto lì.

*In fotografia proprio 思い出横丁 “Omoide-yokochō”, una sera, tornando da un Tullys’s e dirigendoci verso la stazione di Shinjuku. Era autunno inoltrato. A breve tornerà ad essere così.

Di Ginza e delle buone abitudini

Ginza, il palazzo della Mont Blanc. Un taxi, dall’altro lato della strada, che è già partito. Un camioncino addetto al trasporto di asciugamani puliti che attende il turno al semaforo.
Il cielo, anche lui, intonso.

La sovrapposizione di immagini e colori, le scritte che decorano palazzi in senso orizzontale e verticale, è una di quelle cose che di Tokyo amo di più.

L’occhio è conteso. E lo sguardo s’apre a ventaglio.
Come quello delle donne che quest’anno, piu’ degli scorsi anni, si sono sventolate per il 節電 il razionamento energetico deciso in seguito alla crisi nucleare. Setsuden che è finito ufficialmente. Ma che si vuole far continuare a rispettare.

L’emergenza è finita ma le buone abitudini è sempre bene non lasciarsele sfuggire.