Del cielo d’ottobre e della diversità
Cielo d’ottobre. A Tokyo fa freddo. Poi torna il caldo. E, a distanza di poco, ecco tornare il freddo.
Al telegiornale parlano di quarantaquattro punti in cui i ciliegi, i famosi sakura che impreziosiscono ogni anno la primavera giapponese, sono fioriti fuori tempo, confusi dalle temperature che dovrebbero dire freddo e invece sussurrano caldo.
Si ammirano i boccioli e ci si chiede come possa accadere.
Passa qualche giorno e in televisione, sul giornale e su vari siti internet si iniziano ad indicare gli spot migliori in cui recarsi per ammirare le foglie d’acero che muteranno gradualmente colore. L’autunno che è rosso. L’autunno che è giallo. Ma anche marrone. Cremisi, verde, amaranto.
Si fanno previsioni. Si mandano in onda programmi a tema. E, intanto, ci si interroga sui cambi di stagione.
Per chi ignora la cultura di questo paese forse è curioso, persino ridicolo dare tanta importanza a un cambiamento climatico. Al progressivo mutare del colore delle foglie, monitorato con attenzione da quotidiani, siti web e telegiornali (all’interno dei quali esiste sempre uno spazio ad essi dedicato). Non sarebbe forse meglio dedicare quel tempo ad argomenti “più seri”? Con tutti i problemi che ci sono nel mondo è così importante parlare di foglie che cambiano colore? I giapponesi sono proprio dei bambini…etc. etc.
Personalmente io lo trovo meraviglioso. Non solo per la praticità che permette di pianificare un viaggio o una gita esattamente nel momento di massima bellezza di quel luogo, ma perchè nella quotidianità si continua a dare grande importanza alle piccolezze (che poi sono davvero piccolezze?) della vita.
Il mutamento delle stagioni non comporta, infatti, il solo dover indossare vestiti piu’ pesanti, ma condiziona i colori degli abiti stessi, i cibi, i dolci, alcune espressioni, muta in parte il palinsesto televisivo, stravolge il paesaggio e la sua percezione.
A chi pensa che per dimostrare di conoscere questo paese sia necessario parlarne male nella stessa misura in cui se ne parla bene, auguro un’integrazione lunga – inizialmente sofferta ma alla fine perfettamente riuscita – come è stata la mia. Pazienza e umiltà nel non credere che tutto ciò che è diverso sia necessariamente strano (nel migliore dei casi) o (nel peggiore) sbagliato.
E’ questo, a mio parere, il primo passo per stare bene con se stessi. In ogni parte del mondo.
*Fotografie scattate lunedì. Un cielo pieno di nuvole. E pieno di luce.
Per qualche altro scatto d’autunno date invece un’occhiata qui