におい o dell’odore
Vi sono in giapponese parole che si pronunciano allo stesso modo ma che, a guardarle bene, rivelano un corpo differente. Gemelli con voce che coincide ed aspetto che non suggerisce parentela.
In una piccola variazione di intonazione, la carta si fa dio oppure dei, e poi, in un altro salto della corda, si sfa in una ciocca di capelli. È kami, si dice sempre kami, ma allo specchio ogni kanji si vede per quello che è. 「紙」 「神」 「髪」e sciogliendoli, come si fa con i nodi del mare, ne scaturiscono storie differenti.
La poesia 「詩」che si fa morte 「死」, che si trasforma in un guerriero 「士」, poi in un figlio 「子」, nel quattro 「四」, nella città 「市」e nel filo 「糸」, nei testi musicali 「詞」, in qualcosa che collega un’altra frase, come una “e”. E tanti tanti altri che però, nell’ascoltarli letti dalle labbra di qualcuno, sono sempre e solo shi.
植物に水をあげるし、話しかけるし・・・
……..Do l’acqua alle piante e parlo loro…
Accade anche con l’olfatto e il sostantivo che in questa lingua si tira dietro gli odori. È nioi 「匂い」 ed è nioi 「臭い」, solo che il primo loda ciò che è gradevole, l’altro accusa quello che fa senso.
Ogni volta che la Gigia torna da casa dei miei suoceri me ne accorgo. Che una famiglia nasce da un odore, che quest’ultimo è il cibo che si prepara e che entra a far parte del corpo di ognuno, il detersivo che libera i panni dalle macchie, è l’animale che abita la casa, il sole che batte sulle finestre se vi batte, la vegetazione che allunga rami sul balcone e dentro casa. È l’umidità che s’infila nei muri e ne indebolisce la trama e la salute. È il deodorante per ambienti, è la cucina che magari è un tutt’uno con la sala da pranzo, è la quantità di carta che si spalma sulle pareti, il legno del parquet, è la fragranza del caffè, del tè che si preferisce, è il bollitore del riso, il sugo della pasta.
Frammenti di un aroma che, come un puzzle, determinano quel particolare odore e nessun altro.
È l’odore della casa. È l’odore del Giappone.
. Per me il Giappone è lo zampirone che caccia le zanzare e chiama i miei ricordi. Perchè fu in estate che giunsi, per la prima volta, in questo paese. Quando nella stanzetta dell’homestay quello che mi agitava veramente era la lontananza da un ragazzo italiano, dal mio cane Topo, dalla solitudine in cui vivevo già dai sedici anni. Era una stanza con la moquette rosa, senza tende spesse che accoglievano quindi la luce tutta, uno shock per me che ero avvezza più al buio che alla luce. La camera dei signori Kusama, la scrivania di legno chiaro su cui studiavo fitto kanji, la lampada nera che un gatto di pezza cavalcava.
E poi c’era il daruma di un qualche studente che in quella stanza aveva vissuto prima di me il suo Giappone, un solo occhio disegnato, l’altro probabilmente chiuso per sempre nel biancore.
Sono come le monetine a Fontana di Trevi, gli occhi del daruma. Perchè chi viene, e si innamora, vuole ritornare e spera che non passi troppo tempo.
È strano ma trovo spesso in queste stradine tanto lontane da casa i profumi dell’infanzia, la montagna bella dell’Abruzzo, il mare di Nettuno e quelle sere in spiaggia quando il solo sopraggiungere del buio era un evento.
Nel minuscolo bagno che in Giappone accoglie il water, accendo una piccola stufetta elettrica, dopo la pausa dell’autunno, e ne esala un odore dell’infanzia, delle ciambelle, del pane del forno a Nettuno, le mattine in cui ci si voleva viziare e si comprava la pizza da farcire con prosciutto e mortadella.
Scopro così che gli odori si assomigliano nella diversità e non nella coincidenza. Perchè il ricordo olfattivo richiede precisione, perfetta adesione. Perchè uno stesso cibo profuma diversamente a seconda di dove lo si mangia, di chi lo prepara, di chi lo mangia. Ci sono troppe incognite nel gioco degli odori. Ma il profumo arriva inaspettato, non lo si architetta così come non si costruiscono i ricordi. Proprio come i due kanji dell’odore, che sono vicini (nioi 「匂い」nioi 「臭い」) , si leggono persino uguali eppure sono il più e meno di qualcosa. Il positivo e il negativo.
L’odore preferito è quello della pelle di Ryosuke. Mi trasmette pace. E infilo il naso nello spazio tra la maglietta e il suo collo.
Entro in casa e non conosco più il suo odore perchè mi si deve essere posato addosso in questi anni, e non lo potrei più distinguere da me.
E avvicinandomi a qualcuno mi affascina pensare che ognuno si porti dietro l’odore della propria casa e dei propri affetti, forse acre oppure dolciastro, l’odore delle scelte, del vivere da soli, del vivere insieme ad un cane o ad un bambino.
E tra una manciata di giorni sfoglierò “Tokyo Orizzontale”, vi immergerò il naso nella libreria di una città italiana, chissà quale, e già so che quello diventerà un nuovo ricordo.
Sarà l’odore del mio primo libro, di un romanzo che mi ricorda tante cose, della gioia di raccontare una storia tutta mia e di condividerla con chi la leggerà.
Non vedo l’ora.
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