autunno

Dell’autunno e dello studio

Il cielo. L’autunno giapponese che non è solo rosso ma, come spesso mi accade di ripetere, è anche giallo, verde, marrone, arancio. Arancio come i dolcissimi kaki che si possono gustare in abbondanza in questa stagione. Dolci alle castagne. Decorazioni in tema “momiji” un po’ ovunque.

Qui vicino a casa è pieno di alberi di kaki. Giardini privati. A volte semplici giardinetti nel circuito di una casa a due piani. I tipici tetti blu delle case giapponesi. Il cielo azzurro intenso.

Mai come in questi giorni mi sono fissata a guardare il cielo.
Stamattina, andando al lavoro, ho scorto distinto il profilo del Fuji-san, ancora una volta. L’aria era incredibilmente “trasparente”. E’ il bello dell’inverno.
Domattina, tempo permettendo, andrò a fotografarlo nelle sue vesti diurne.

Mi sono iscritta all’esame di dottorato. Ormai è tanto che studio in vista di questa grande sfida fatta per passione piu’ che per carriera. Che la scrivania è diventata la mia migliore amica. E, devo dire, mi sta piacendo assai. Soprattutto aver ripreso a leggere così tanto in giapponese. E’ una lingua tostissima ma dà soddisfazioni enormi.

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Il fiume Kanda, l’autunno che si apre.

Andando a Jimbocho per il festival della lettura, uscendo dalla Sobu Line si e’ aperto alla vista uno scorcio che mi ha fatto tirare fuori dalla borsa la macchinetta fotografica e mi ha fatto dirigere a rapidi passi verso il limitare della banchina.
Questa foto ingranditela, osservatela…

Luce che strazia il bianco dei palazzi in lontananza. Il ponte su cui si distingue chiaramente il profilo dei passanti che lo attraversano in entrambe le direzioni. A destra s’apre l’autunno. Sotto scorre il fiume Kanda e il verde sembra sbrodolare dalle rotaie.
Ecco la Chuo Line con l’arancio acceso delle sue carrozze. L’addetto della stazione annuncia l’arrivo del treno, poi imbraccia la bandierina rossa e un ponticello pieghevole che aiutera’ chi, da quel treno e da quella precisa carrozza, scendera’ in sedia a rotelle. Per eliminare il dislivello tra il convoglio e la banchina.

In giorni pieni zeppi di studio, in cui l’esame di dottorato si avvicina e la sensazione di non sapere mai abbastanza e’ forte, avevo proprio bisogno di uno scorcio come questo. Di un ricordo di sabato mattina da tenere stretto nella mente.

Del cielo d’ottobre e della diversità

Cielo d’ottobre. A Tokyo fa freddo. Poi torna il caldo. E, a distanza di poco, ecco tornare il freddo.

Al telegiornale parlano di quarantaquattro punti in cui i ciliegi, i famosi sakura che impreziosiscono ogni anno la primavera giapponese, sono fioriti fuori tempo, confusi dalle temperature che dovrebbero dire freddo e invece sussurrano caldo.
Si ammirano i boccioli e ci si chiede come possa accadere.

Passa qualche giorno e in televisione, sul giornale e su vari siti internet si iniziano ad indicare gli spot migliori in cui recarsi per ammirare le foglie d’acero che muteranno gradualmente colore. L’autunno che è rosso. L’autunno che è giallo. Ma anche marrone. Cremisi, verde, amaranto.
Si fanno previsioni. Si mandano in onda programmi a tema. E, intanto, ci si interroga sui cambi di stagione.

Per chi ignora la cultura di questo paese forse è curioso, persino ridicolo dare tanta importanza a un cambiamento climatico. Al progressivo mutare del colore delle foglie, monitorato con attenzione da quotidiani, siti web e telegiornali (all’interno dei quali esiste sempre uno spazio ad essi dedicato). Non sarebbe forse meglio dedicare quel tempo ad argomenti “più seri”? Con tutti i problemi che ci sono nel mondo è così importante parlare di foglie che cambiano colore? I giapponesi sono proprio dei bambini…etc. etc.

Personalmente io lo trovo meraviglioso. Non solo per la praticità che permette di pianificare un viaggio o una gita esattamente nel momento di massima bellezza di quel luogo, ma perchè nella quotidianità si continua a dare grande importanza alle piccolezze (che poi sono davvero piccolezze?) della vita.

Il mutamento delle stagioni non comporta, infatti, il solo dover indossare vestiti piu’ pesanti, ma condiziona i colori degli abiti stessi, i cibi, i dolci, alcune espressioni, muta in parte il palinsesto televisivo, stravolge il paesaggio e la sua percezione.

A chi pensa che per dimostrare di conoscere questo paese sia necessario parlarne male nella stessa misura in cui se ne parla bene, auguro un’integrazione lunga – inizialmente sofferta ma alla fine perfettamente riuscita – come è stata la mia. Pazienza e umiltà nel non credere che tutto ciò che è diverso sia necessariamente strano (nel migliore dei casi) o (nel peggiore) sbagliato.
E’ questo, a mio parere, il primo passo per stare bene con se stessi. In ogni parte del mondo.

*Fotografie scattate lunedì. Un cielo pieno di nuvole. E pieno di luce.
Per qualche altro scatto d’autunno date invece un’occhiata qui