Se non sei disposto a cambiare, non venire in Giappone!
Non ho mai chiesto di condividere un articolo, forse perché ho l’idea che i miei scritti, così come quelli di chiunque, giungano a chi devono arrivare, nel momento esatto in cui essi si rendono necessari.
Eppure, senza maschere né trucco, porgendo tutta la sincerità di cui sono capace, a chi mi presterà cinque minuti del suo tempo, voglio raccontare di un disagio, di un pericolo e insieme di una possibilità che riguarda il Giappone. E porgere una preghiera.
Noto negli ultimi anni a Tokyo e dintorni una abbondanza crescente, impressionante quasi, di turisti, specialmente asiatici ma anche occidentali. Non metto mai in questione le culture nel proprio contesto, ma non posso nascondere il disagio che provo nella mancata cura di questi enormi gruppi di persone che urlano invece di parlare, che scontrano i passanti senza aver cura del prossimo, che arraffano cose di valore come fossero merce da niente, che gettano rifiuti lì dove non è consentito e monopolizzano i luoghi di attrazione.
Ryosuke mi parlava del verbo 「畳む」 /tatamu/ che significa “piegare, ripiegare” ma anche “levare, chiudere”. Il Giappone, insomma, si avvia al proprio esaurimento, al ripiegarsi, al chiudersi. Si tratta di un verbo che si usa in ambito sociologico, e che molti iniziano ad adottare per domandarsi come sistemare, concludere e riordinare un paese in via d’estinzione.
Con il figlio più piccino di nove mesi appeso al marsupio, il piccolo volto esposto davanti a dondolare le gambette e il passeggino a fendere l’aria della stradina che percorro, noto un enorme americano (oppure brasiliano come suggerisce la maglietta?) che getta rifiuti nel cestino preposto alle lattine e bottigliette di plastica. Gli faccio notare con un sorriso che il luogo è sbagliato, mi risponde rabbioso “Lo so!” e continua…
Ricordo con vera vergogna una ragazza, amica di amici, che per non pagare il biglietto della metropolitana, fece la furba saltando i tornelli; credendosi molto spiritosa, in italiano prendeva in giro i giapponesi che le stavano accanto. Non mi toglierò mai di dosso quel maledetto disagio nel non poterla sgridare come avrebbe meritato facessi.
Giorni fa, al caffè, un ragazzo francese chiede alla proprietaria se può riempire la propria bottiglietta di plastica dell’acqua della brocca, quella a disposizione (insieme ai bicchieri) dei clienti. E lei, cosa può dire se non di sì? Ma si domanda una cosa così? Davvero si deve chiedere? L’idea che sia errato non ferma dal domandare?
Oppure noto turisti sedersi in un caffè, come Starbucks, senza ordinare nulla, come se lo spazio fosse gratuito. Oppure chiedere a qualcuno di gettare la spazzatura per loro, affidandola ai gestori di un caffè dove magari si è sostato per breve tempo. Altri baciarsi vistosamente in pubblico, come a “insegnare” ai giapponesi che sono loro ad essere troppo freddi e loro, gli italiani, gli americani, i coreani etc. ad avere ragione. Altri ancora telefonare sul treno, magari subito sotto all’adesivo che segnala che non si fa. Oppure mangiare a bordo di convogli metropolitani, lì dove nessuno lo fa.
Mi disgusta quella percezione soprattutto del “dobbiamo insegnargli come facciamo noi”, questo sentirsi superiori. Sempre. Comunque. Il continuo sospetto, l’accusa in punta di lingua di ottusità, di un eccesso di protocollo. Ma a nessuno viene mai in mente che sia proprio il rispetto di quel laborioso protocollo a rendere affidabili i treni che sfrecciano su fasci di binari e che traghettano milioni di persone ogni giorno, ogni ora in completa scurezza? Che rendono piacevole entrare in un negozio, acquistare o invece non acquistare niente, e uscirne sempre salutati, con un sorriso sulle labbra? Che fanno sì che perdere qualcosa, equivalga praticamente sempre a ritrovarlo?
Bisogna dare fiducia anche quando non comprendiamo il perché di qualcosa. Che a noi scatta subito la rabbia se qualcosa non va come vorremmo e diamo per scontato manchi la buona volontà da parte di chi non fa come vorremmo o ci aspettiamo. Ma ve lo garantisco, in questo paese, la buona volontà c’è. Sempre. Comunque.
E io? Anch’io non sono esente da errori. E ricordo ancora, con autentico imbarazzo, quando ormai quattordici anni fa, durante il mio primo viaggio in Giappone, l’unico da cui abbia mai fatto ritorno in Italia, quando gettai dei rifiuti nel grande secchio fuori da un ristorante ormai chiuso, al ritorno dall’aver sparato fuochi d’artificio nel parco di Inokashira, altra cosa probabilmente proibita.
Ecco, me ne vergogno ancora. E il solo fatto che lo ricordi mi segnala che fin da allora ne percepissi l’errore.
O quando ho incrociato le braccia, in bicicletta, per mostrare tutto il mio dissenso a una donna che – pur francamente eccessiva – mi segnalava la direzione sbagliata di marcia nonostante dovessi girare a un metro soltanto da lì. Perché il punto non sta nell’aver torto o ragione, ma nel non dover convincere il mondo che la si ha.
O ancora il fastidio che mostro ogni volta che mi viene domandato di compilare uno degli infiniti fogli che sono richiesti in farmacia o dal dottore, e magari mi viene da dire loro, ma a cosa diamine serve scrivere tutto se poi te lo devo ripetere a voce?
I giapponesi tendenzialmente non fanno appunti allo straniero o allo sconosciuto: è per evitare lo scontro, per mantenere quel clima di pace e armonia che noi tanto ammiriamo e che pure siamo pronti a giudicare come sbagliato, freddo, sconsolato: “Ma perché non dicono niente? Perché non si arrabbiano con i turisti?”
Il motivo è lo stesso che fa sì che qui non suoni il clacson praticamente nessuno. Solo nel pericolo si interviene. È il comportamento di tutti, proprio quell’evitare di dire sempre la propria e farlo sgridando il prossimo, che conserva l’armonia generale. Il dissenso, se proprio si rende necessario, deve essere mostrato con garbo e delicatezza.
E ora che Ryosuke mi fa questo discorso, ora che capisco il pericolo reale che corre il Giappone – perché io stessa incontro senza sosta questa torva di gente, la noto crescente, chiassosa, sgarbata e insofferente in questa città dall’altissimo profilo civile – ecco che riesco a tenere ancora più sotto controllo il mio temperamento, a non arrabbiarmi, pulisco anche quanto non ho sporcato in prima persona, cerco di sorridere quando posso e l’umore me lo permette, di ignorare quanto davvero non mi sta danneggiando ma solo un poco infastidendo.
E un turista? Come dovrebbe fare? Leggere, ad esempio, prima di partire, documentarsi, farsi guidare da gente che ha la patente per farlo (per inciso: lo sapevate che è illegale fingersi guide in Giappone senza aver studiato e passato uno specifico esame? si sottrae lavoro a chi ha studiato una vita per farlo ed è scorretto esattamente come dichiararsi medici senza aver preso la laurea in medicina o proporsi come giornalisti senza aver passato il concorso nazionale).
E poi bisogna fare come i bambini, guardarsi intorno, adeguarsi al contesto. Cercare nell’intelligenza dell’osservazione la risposta al diverso, all’inadeguatezza che coglie chi non sa come comportarsi.
È come andare a casa di un’amica e fare invece come se si fosse a casa propria: stare discinti, lasciare oggetti dovunque, lordare, fare rumore. È strano come capiamo queste cose solo facendo paragoni con il privato, perché il pubblico per noi vale sempre molto poco e tutti, paradossalmente, possono metterci bocca. E invece il pubblico è definito in Giappone. È la parte più importate di tutte, proprio perché condivisa.
Ci crediamo tanto intelligenti a trovare una terza via ogni volta che ci sono poste due alternative, ma è giusto? Non è forse meglio esercitare il proprio intelletto su altro? Nella comprensione della diversità, ad esempio, nella considerazione che aspetti che tanto lodiamo, come l’onestà, la cortesia, la pulizia, si basino anche su quelle regole che riteniamo scavalcabili, fastidiose?
Ecco, un invito. Godete invece della diversità del contesto, come a trovarvi in un videogioco: abbassate di un poco la voce, scoprirete quanto è bello il sottobosco dei suoni in un treno, in un ristorante; non baciatevi in pubblico vistosamente, trattenetevi e poi, con la tensione che scatena il desiderio, fate l’amore a lungo in albergo; fate la fila, proverete l’emozione di vederla muoversi molto più rapidamente di quanto non credevate.
Ecco vorrei tutti avessero chiara la percezione di quanto importante sia rispettare le regole, di quanto vada preservato questo microcosmo che è il Giappone, il garbo sostanziale, la cura, il popolo stesso che, come diceva Lévi Strauss, è il primo patrimonio del paese.
Basta sorridere! Basta perdonarsi perché in fondo siamo di un’altra cultura! No, no e ancora no! Non è lontanamente tollerabile indulgere sul “tanto…”, perché “tanto non conta” è sbagliato, e conta eccome. Ogni minuscolo gesto. È faticoso, e lo dice una che ci abita da tredici anni in Giappone. Ma è una fatica che vale la pena.
Più l’esempio negativo invaderà il Giappone, più il Giappone, goccia a goccia, con l’avanzare dell’invecchiamento della sua popolazione e del calo demografico, rischierà di mutare. E comunque ho capito negli anni che è anche da come si comportano in Giappone, dai discorsi che fanno, che è possibile saggiare la pasta delle persone.
Ed ecco infine la preghiera. Comportatevi bene in questo paese, siate eventualmente voi a far notare ad altri turisti che stanno sbagliando, date fiducia a questo popolo mite, non credete di avere sempre ragione, non dubitate neppure un momento vi stiano ingannando, perché la possibilità d’esser derubati o raggirati è vicina allo zero.
Sì, comportatevi bene. Rispettate le regole, tutte. Non credetevi più intelligenti di loro nell’infrangerle. Se esistono, un motivo, assai ponderato sicuramente c’è, anche se non lo cogliete o non lo comprendete.
Ricordate che ogni cultura è un puzzle 3D, anche un pezzo apparentemente insignificante è parte delle fondamenta che lo tengono su.
Amatelo invece, traete ispirazione da quello che vi piace di più. E se non siete disposti a scendere a patti con un altro sistema-mondo, rimanete a casa.
Che casa è l’unico luogo dove è giusto imporre la propria ottusità, il proprio egoismo, la propria orrida “autenticità”, il muso duro “perché sincero”. La propria, amata, imbecillità.
Non imponetela ad altri, godetevela a casa.
Hai sempre scritto articoli bellissimi e, non so come tu ci sia riuscita, fino a oggi, a tenerti sempre fuori dalla rabbiosa frustrazione che provo quando mi trovo davanti a questo genere di situazioni… oggi, alla fine, ti sei sentita di doverti sfogare anche tu e hai scritto un ennesimo bellissimo articolo.
Ti capisco e sottoscrivo ogni tua singola parola, parole che ripeto oramai da anni.
Perché vedere i cassonetti della spazzatura destinati alle lattine e bottiglie pieni, straboccanti, di puzzolente spazzatura di ogni tipo proprio all’ingresso del bel quartiere del Gion, a Kyoto, che dovrebbe mostrare la grazia e sensibilità di altri tempi, con i turisti che, trovandolo pieno, ci gettano le cartacce (ad andar bene!) ACCANTO mi da sempre un senso di rabbia enorme… a me, che ci vivo da, tutto sommato, pochi anni… non oso immaginare come si senta chi ci vive da una vita.
E, se mi permetti, aggiungerei che non sono solo i turisti, di certo rispecchiati perfettamente nella tua descrizione di orda barbarica, ma, purtroppo, tra i più maleducati e non integrati, arrogantemente auto-assunti del ruolo di giudice e critico del Popolo quanto della Cultura, Storia, Religioni e Società giapponesi sono proprio i residenti non-giapponesi.
P.S.: spacciarsi Guida turistica è l’ennesimo business furbo e a buon mercato, purtroppo sempre più in voga.
Verissimo. Tuttavia il mio non è uno sfogo, altrimenti me lo sarei tenuto per me, come sono solita fare per il negativo che incontro nella mia vita. E’ proprio un invito, o almeno intendeva esserlo. Spero di eserci riuscita.
Sono tornata da poco più di un mese da un tour in Giappone,; il gruppo con il quale ho viaggiato si comportava esattamente come hai descritto. Ho le lacrime agli occhi metre leggo il tuo articolo maledetta arroganza culturale dell’occidente
Che tristezza… che dispiacere. Bello però ci fossi anche tu, che sei chiaramente diversa.
L’ignoranza e la maleducazione sono trasversali a tutte le culture, non sono dovute alla “arroganza culturale dell’occidente” frase che personalmente trovo abbastanza a, vogliamo discutere della inciviltà dei turisti che non sono di origine occidentale (e di esempi se ne possono portare a iosa)?
O forse sarebbe meglio smetterla una volta per tutte di ragionare per presupposti di razza e cultura e ammettere che inciviltà, maleducazione e comportamenti fuori luogo non sono patrimonio di una sola “civiltà”, ma purtroppo “patrimonio” degli uomini e di come sono stati educati dalle loro famiglie ?
La maleducazione, così come l’educazione sono universali. Su questo concordo assolutamente.
Credo Susanna si riferisse all’esperienza personale che ha avuto con un gruppo di turisti europei, suppongo, e non alla maleducazione in generale.
L’educazione familiare e sociale sono effettivamente il fulcro di tutto.
Per come son fatta io, il Giappone è il mio paese ideale. In Italia, dove risiedo, per quanto sia una paese meraviglioso, soffro. Perchè che sia il turista o l’autoctono, questo è lo scenario quotidiano. Il problema è che il tuo messaggio, le tue parole, per quanto io sottoscriva e concordi dalla prima sillaba all’ultima, rimarranno al vento e sai perchè? Perchè è rara l’intelligenza che possa accoglierlo, comprenderlo, quale spunto di vera e profonda riflessione. Intelligenza, sappiamo, nn significa essere un cumulo di nozioni, ma predisposti a capire, a comprendere il diverso e a comportarsi secondo il contesto e le dinamiche del paese che ci accoglie o quello in cui viviamo. Manca il rispetto, l’educazione. La sensibilità. Io soffro e capisco davvero come ti senti. Figuriamoci qui in Italia. Soffro e lotto, e faccio notare con calma ed educazione dove e perchè sia necessario correggere il comportamento. E non ti nascondo che rischio di prenderle. Di essere insultata è la norma. E mi chiedo come si fa a non prendersela. Me la prendo, perchè io sono così, sensibile al senso di comunità. A casa mia faccio quello che voglio, ma dove la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri, no, mi devo adeguare. Perchè è così, a maggior ragione in un paese che mi ospita. Ehhhhhhhhhhhhhhh scusa lo sfogo… ti capisco. E apprezzo ancora una volta il tuo infinito garbo.
parole sante! rischio la lite ogni giorno per la maleducazione altrui… dal ciclista che ingorga il traffico per non utilizzare la ciclabile a pochi cm da lui all’automobilista che non rispetta semafori e segnaletica… e tanto altro ancora. ormai l’italia è al tracollo… spero di lasciarla al piú presto.
Sono stato in Giappone in viaggio di nozze nel 2015 e man mano che leggevo questo bell’articolo temevo di aver fatto anche io qualcosa di simile, invece, arrivato in fondo, mi sono accorto con sollievo che è bastato amare il Giappone documentandosi prima. E, poi, osservando i giapponesi si fa in fretta ad imparare a mettersi in coda… Spero di poter tornare prima che le cose si deteriorino… Grazie per il bel pezzo
Torna presto, ma facciamo comunque in modo le cose non si deteriorino!
La gente che ha bisogno di sentirsi dire queste cose perchè da sola non ci arriva, non si autoregola, non si controlla, è proprio il tipo di gente che non dovrebbe viaggiare mai, da nessuna parte nel mondo! che rabbia!
Un pezzo che fa riflettere, come sempre, Laura san! Yokattane!
A me dicono sempre, dal mio primo viaggio nel 2012, che gli italiani se li immaginano diversi.
Certo se il paragone è con quei 2 cretini di Matt e Bise, potrei pure offenderti… ?
Non posso che sottoscrivere ogni singola parola punteggiatura compresa.
Ma non posso neppure non pensare che il Giappone sia in mutazione, soprattutto le generazioni più giovani.
E mi viene in mente la storia, il ‘600 e un accusa di imbastardimento della cultura a causa dei contatti esterni e soprattutto degli stranieri presenti in Giappone, e la conseguente chiusura di 2 secoli col mondo.
E in ultima istanza, non posso non notare una coincidenza sul tuo far notare che per fare la guida bisogna essere certificate e una piccola discussione di qualche giorno fa su FB dove un professionista del settore retarguiva una ragazza che si era definita guida senza averne l’ idoneità…
Sempre pieno di spunti!
Davvero un bel post. Io vivo in una cittadina sul mare e siamo spesso “travolti” dai turisti. Molti non fanno altro che lamentarsi, siccome sono in vacanza sembra che le regole di normale convivenza per loro non esistano e che siccome sono al mare, girare anche in pieno centro con il costume e le infradito sia assolutamente normale così come fare rumore fino alle tre di notte, tanto nessuno lavora secondo loro… Così come comportarsi come se tutto gli fosse dovuto solo perché loro “ci portano i soldi”. E’ un atteggiamento che ho sempre mal sopportato. Sono stata in Giappone nel 2012 e poi nel 2014 e già solo in due anni ho visto un’escalation di turismo che, se da una parte mi ha fatto piacere (adoro che le persone conoscano questo paese così bello), dall’altro mi ha preoccupato non poco perché più i numeri sono grandi e più è probabile avere a che fare con la maleducazione. Quest’estate tornerò e cercherò di rispettare tutte le regole del vivere civile (purtroppo ho un tono di voce che tende all’alto e mi rendo conto che potrei aver schiamazzato sui mezzi pubblici senza rendermene conto, gomen) e spero di viaggiare insieme a persone che portino lo stesso rispetto, altrimenti mi impegno a farglielo notare! Con garbo ovviamente! 😉
Un abbraccio fortissimo a te e ai tuoi cari
Cara Laura come hai ragione!! Sottoscrivo ogni tua parola e propongo la stessa attenzione per tutti i paesi del mondo perché l’educazione deve esserci ovunque e comunque!!
Anche in Italia purtroppo ci sono atteggiamenti e situazioni che non si possono più tollerare… turisti sdraiati nei giardini o nelle aiuole di piazze e fontane o peggio che mangiano e bevono pure, come fossero ad un Pic Nic in campagna. E questo è solo un esempio ed una minima parte di ciò che si vede giornalmente anche nelle nostre città. Andando avanti così va a finire che per salvare paesi e culture dobbiamo farle dichiarare patrimonio dell’UNESCO. Che tristezza
Anche io sono preoccupato. E provo imbarazzo e vergogna di fronte a certi comportamenti che ho visto, a certi video su youtube a un certo modo di proporre il Giappone.
Io credo che viaggiare dovrebbe innanzitutto insegnarci a essere umili, a cercare di capire senza imporre i nostri valori – almeno quando non viene leso il nostro senso etico e questo non è certamente il caso -, se non si viaggi con umiltà non si impara nulla. E allora è meglio restare a casa, davvero.
Ti ringrazio ancora una volta per un bellissimo post
Sono appena rientrata dal mio primo viaggio in Giappone. Per il mio ragazzo era il viaggio tanto sognato, per me una scoperta in divenire. Durante i giorni trascorsi ho colto tutte le diversità con la nostra cultura occidentale di cui parli ed ho amato il modo di vivere in giappone, il modo di approcciare alla vita e alle piccole cose. Da quando sono tornata in Italia ribadisco che l’insegnamento più bello ricevuto sia il senso del rispetto che li contraddistingue. Spero di tornarci presto e che resti quell’oasi incontaminata di valori che ho appena conosciuto. In quanto a te amo il tuo modo di scrivere e ti ringrazio per farmi rivivere ogni giorno la poesia del Giappone!?
Condivido in pieno. Saró in Giappone ad agosto e non vedo l’ora di assaporare tutta la sua educazione e rispetto per la vita altrui! Sará dura tornare alla triste realtá poi…
Grazie Laura le tue parole sono arrivate dritte al cuore, mi sono a tornati in mente tutti i preziosi ricordi di questo meraviglioso popolo e delle straordinarie persone che ho incrociato nel mio viaggio (che nonostante non parli giapponese ho capito meglio di un italiano). Il signore di mezza età,che avendomi vista in un giardino di un tempio di Osaka, mi ha portato a visitarne altri tre dandomi pure le monetine per le offerte.La nonnina del negozio di scarpe di kamakura, abbiamo parlato per mezz’ora, ognuna nella sua lingua, e sono uscita da lì con i sandali e un pugno di caramelle. L’addetto alla biglietteria dell’aeroporto che mi ha portata direttamente al mio posto in nella coda perché si è accorto che non capivo. Mi commuovo ancora al pensiero di quei giorni, e mi ricordo ancora della rabbia, e la sento ancora,per degli americani che ridevano sguagliatamente mentre si facevano le foto nel Parco della Pace a Hiroshima oppure di quella famiglia di tedeschi che hanno aspettato che il monaco che faceva da guida andasse via per scattare le foto nel tempio a Nikko. Hai ragione queste persone che non rispettano la cultura della nazione che vanno a visitare dovrebbero rimanere a casa loro. E grazie ancora per tutto quello che scrivi e condividi con noi, è un modo per me di essere ancora lì in Giappone nonostante sono passati già 13 anni.
Leggere l’articolo mi ha sollevata dall’insidioso pensiero di “non andar bene ” a causa del mio modo di essere.
Io non cedo al ricatto di una visione della realtà che vuole uno scontro tra 2 tesi in opposizione… CAPIRE e quindi ammettere altre possibilità- senza forzare a una correzione è davvero un’arte perché devono coesistere rispetto e fermezza nei propri principi.
Però mi abbatto quando vengono calpestati delicati valori di educazione, gentilezza, correttezza. Magari da parte di soggetti che non realizzano il senso di incuria e di pochezza che lasciano attorno; tutto ciò è avvilente!
Ho l’impressione che le coscienze debbano maturare ancora molto..
ti ho ascoltata con molto interesse alla presentazione di firenze, e pur seguendoti dalle prime origini del blog, ho deciso di non venirmi a presentare. in questo decennio sei stata una costante per me, ti leggevo quando vivevo in Giappone, ti ho continuata a leggere dall’italia e ancora durante i miei viaggi in Giappone. sei la mia autrice “che scrive in italiano” preferita e non ho voluto avvelenare quel primo incontro ravvicinato con una domanda amara e fuori luogo, ma ti avrei domandato esattamente questo, cosa ne pensi di quello che sta succedendo laggiù in questi ultimi tre anni? perché sapevo che avresti avuto qualcosa da dire in proposito.
io mancavo dal duemila–quattordici, ed al mio ritorno, l’autunno scorso, ho trovato un paese troppo cambiato, ci ho messo più di un mese a riadattarmi, mi è venuta la nausea, volevo andare via dopo appena una settimana, proprio per i motivi di cui parli tu. e per certi maledetti video, figli di quello fatto dalle iene, che ha incuriosito tanti italiani e li ha portati di corsa in Giappone.
secondo i dati statistici ufficiali pubblicati dal governo giapponese questa è la prima volta nella storia che il Giappone si trova ad ospitare così tanta gente straniera. forse è una mia impressione, ma molti di questi immigrati sembrano entrati in Giappone senza una vera ragione, “per vedere un posto diverso”. mentre prima era un paese difficile, che si visitava con una motivazione forte, principalmente per amore o per affari.
il mercato si sta piano piano saturando, l’ho capito quando mi è arrivata una pubblicità di un viaggio organizzato che aveva tra le varie mete Fukushima, fino all’altro ieri lo spauracchio di tutti occidentali, oggi ancora di salvezza per molti sedicenti esperti viaggiatori che snobbano i “soliti posti turistici”, pur non avendoli mai visitati. perché loro sono più intelligenti di tutti.
Grazie Laura, ogni tuo nuovo articolo per me è una gioia!;)
Sì, ma allora com’è che tanti, ma tanti, turisti giapponesi in Italia si comportano da autentici burini?
E dove li hai visti? Sicuro fossero Giapponesi e non magari cinesi, coreani, o asitici in genere? Ricordati che la cultura giapponese E’ SOLO giapponese…
Stavo per scriverlo io. Gli occidentali sono incapaci di distinguere i cinesi dai giapponesi, i primi dei quali stanno invadendo l’Italia negli ultimi anni.
Probabilmente qualcuno si è sentito toccato dal tuo ultimo post sul blog. Per quel che mi riguarda, il primo viaggio in Giappone lo feci nel 2005, quando ancora la “moda del Giappone” non era così diffusa, e fu come trovarmi finalmente in un ambiente che non mi faceva sentire la solita “Fantozzi” di turno, proprio perché comportamenti per me naturali e automatici, come educazione, riservatezza, umiltà, rispetto delle regole -anche quando nessuno ti sta guardando?- erano all’ordine del giorno, cose che spesso a “casa nostra” vengono quasi sbeffeggiate. Purtroppo il tuo articolo ha confermato una sensazione sgradevole che ho negli ultimi tempi quando vedo/leggo video e post di tutti questi nuovi “esperti/turisti/guide/presunti appassionati” di Giappone e cioè che si approcciano a questo mondo in un modo totalmente sbagliato?. Spero che il tuo post, che ho subito condiviso, serva ad invitare le persone a cambiare atteggiamento, in quando vorrei tornarci presto, questa volta con i miei figli, e far trovare loro esattamente l’atmosfera che trovai io tredici anni fa e di cui ho parlato loro tanto.
Brava, bellissino post.
Ho avuto la fortuna di viaggiare per un paio di mesi in Giappone negli ultimi anni ed è stata un’esperienza fantastica, commovente per alcuni aspetti.
Tanto, troppo da imparare da questo meraviglioso paese.
Grazie!
Mostrare rispetto nei confronti del Giappone, sia per tutti coloro che lo amano profondamente, sia per chiunque si trovi eventualmente a frequentarlo con tempistiche e contatti più veloci o distaccati, dovrebbe rappresentare sempre e comunque la norma nei comportamenti civici. Ovviamente, lo stesso discorso vale anche per ogni altro luogo o cultura, sia chiaro. Eppure, per quelli come me, focosi appassionati fin da bambini di tutto ciò che abbia a che fare con il Sol Levante, questo atteggiamento “educato” rappresenta una specie di pane quotidiano. Significa, cioè, declinare un insieme di comportamenti di virtuosa civiltà che spesso si manifestano attraverso particolari rituali d’interazione con l’altro. Vuol dire, in pratica, attuarli nel modo più collaborativo e rispettoso possibile. E significa, in sostanza, sforzarsi di pensare “alla maniera giapponese”. Credo, sinceramente, che per ottenere questo risultato occorra avvicinarsi in punta di piedi ad un mondo/cultura così diverso e particolare. È l’esplorazione di un miniuniverso localizzato ad una latitudine che è più di spirito, di anima, che di semplice posizione geografica. È qualcosa che va oltre la turistica spettacolarizzazione occidentalo-centrica del sushi, dei samurai, dei lottatori di sumo o del cosplay. È un fatto che travalica i ristretti orizzonti mentali dello straniero distratto che vada a pesca di emozioni esotiche a pochi metri dalla sua “riva” di consuetudini. Non è solo il parlato di una lingua edificata su architetture sintattiche, di costrutti che sembrano ricami di maniera, talvolta sovrastrutturati e ridondanti. Non si tratta neanche di orientaleggianti ed oleografici meccanismi estetici di comunicazione non verbale, tanto distante dalla nostra (bunraku, inchini, eatro nō, ecc.)
Allora, cosa può essere? Credo, dopo un po’ di vita spesa in terra nipponica, che per capire veramente il Giappone e per, insisto, rispettarlo, non basti solo saperne parlare l’idioma. Occorre entrarci “a tuffo”, rompendo la superficie della diversità/lontananza. Bisogna fare un “ingresso” fisico/corporeo della mente (scusate l’ossimoro, ma non trovo altra definizione per spiegare questo pensiero con efficacia simile). Tutto questo è necessario per potersi ritrovare, senza perdersi, in una dimensione molto spesso culturalmente inusuale, inizialmente spiazzante, talvolta piuttosto criptica. Il primo passo per arrivare ad un risultato accettabile, quindi, è quello di bussare e chiedere il permesso. E, in seguito, se il padrone di casa acconsente, si può varcare la soglia. Sì, esatto. Perché quella è sempre, e comunque, casa d’altri. E questo va ricordato perennemente, non solo a Tokyo, ma ad ogni meridiano in cui ci si trovi a viaggiare o soggiornare. A questo proposito, da qualche tempo ho notato, e qui mi aggancio in pieno al nocciolo delle tue riflessioni, che ormai purtroppo molti entrano invece senza attendere il consenso. Anzi, addirittura senza bussare. E fanno danni. Parecchi. E gravi.
Sono quasi 12 anni che frequento e vivo il Giappone. È una realtà che conosco abbastanza, pur non essendo uno yamatologo. Eppure, ogni giorno, ogni volta che posso, ripasso qualche cosa di questo paese, limo qualche mia imperfezione occidentale, m’interrogo su quali dinamiche di comportamento potrei migliorare per interagire meglio con il popolo del Sol Levante. E ancora, a seguire, nascono altri “micro-esami culturali di coscienza”. In una parola: coltivo il dubbio. Di frequente mi chiedo: -…Avrò risposto bene al custode del deposito-parcheggio in cui lascio la bicicletta per poi prendere il treno della linea Yamanote? Non sarò stato troppo espansivo nel rispondere sorridendo alla commessa del “conbini”? Non sarà, cioè, che nel porgerle le mie richieste, o esprimendo un semplice ringraziamento, ho coreografato eccessivamente le mie parole con una gestualità troppo italiana? O era, il mio, addirittura un “grazie” verbalmente troppo farcito di mediterraneità, di voce esplosa “a tuono”, quando lei mi chiedeva, con tono sottile di laringe, se doveva riscaldarmi il “ramen” nel microonde dietro la cassa?- E, via via, migliaia di altri esempi, accaduti ogni giorno di questi magnifici 12 anni. È già, non si finisce mai di apprendere, soprattutto una cultura altra, lontana. E questo accade parallelamente, o nonostante, un ampio lavorio posto in aggiunta/modifica ai nostri radicati comportamenti di provenienza culturale d’origine. Succede, cioè, pur con una base ferma di studi propedeutici all’ingresso nel paese di scelta, e non di nascita. Gli errori, in sostanza, nascono e si riproducono anche se si pone massima cura nel ricordare di essere sempre in casa d’altri. Il fatto è che una cultura nuova la si può certamente amare. Anche follemente. Ma non basta. Bisogna innanzitutto capirla. E la comprensione è la rampa di lancio che fa decollare quasi in verticale quel rispetto di cui dicevo prima.
Certo, occorrono sempre molti sforzi di adattamento, spesso faticoso, talvolta al limite dell’estenuante. Si suda, in particolare con la mente, che sovente annaspa nel seguire regole che potrebbero sembrare assurde, o addirittura impregnate di masochismo.
-…Thomas san, fai attenzione che questo senso di fatica non diventi una scusa per fare i tuoi comodi, in un paese che hai scelto tu, e non il contrario. Perciò non hai spazio di manovra di egoismo, ricordalo.- mi ripete spesso la mia sensei di lingua giapponese pronunciando una frase-motto che ormai credo di avere interiorizzato abbastanza saldamente. Ho la forte sensazione che questo “fare i nostri comodi”, il “fare come ci pare”, cioè (e lo dico con tristezza), si stia diffondendo molto in fretta nel mondo. Già in tempi recenti, purtroppo, anch’io ho registrato in Giappone una specie di lieve sfilacciamento di quegli “argini di etichetta” comportamentale che per secoli hanno rappresentato la granitica ossatura qualitativa dell’interazione quotidiana fra i giapponesi. (E anche fra i giapponesi e gli stranieri).
Queste prerogative di educazione, di garbo, di rispetto delle regole, di misura e disciplina, e…sì, insomma, il senso dell’altro, sono quella magia luminosa che mi ha immediatamente incantato nel lontano 2006, all’epoca del mio primo arrivo a Tokyo. -…È l’effetto fascino che il Giappone ha sempre fatto, e ancora fa a tanti.- Questo mi hanno detto in tanti. Questo mi hanno detto “quei tanti”.
Questo mi sono detto spesso anch’io. Accade soprattutto quando si proviene da un’Europa molto malata che sdrucciola sempre più in uno stanco sbandamento di direzione, andando alla deriva verso un confuso e malinconico relativismo di significati. Un luogo, quello del vecchio occidente, purtroppo sempre più ostaggio di un malinteso e strumentalizzato senso di politicamente (s)corretto, furbescamente modulato/manipolato da coloro che controllano il potere, e da essi insopportabilmente (ab)usato. Un po’ come un affilato grimaldello che apra serrature di interessi di parte, soprattutto di denaro.
…Ok, è vero, nei tuoi articoli dici sempre di non fare paragoni tra paesi e culture. Perché sono imparagonabili. Che, come dice sempre la mia sensei: -…sono come i pesci con i fiori, due realtà non mescolabili.- È giusto. È logico. È corretto. Eppure in Giappone, nonostante la percezione di una perdita di smalto, i miei polmoni morali respirano comunque aria migliore che altrove. E ogni volta che vi torno, mi sento ossigenato. È per via di un senso di cortesia ancora diffuso. È grazie ad un rispetto delle regole sano e antico, non ancora aggredito da un egoistico senso di individualismo cinico. Perché quelle piccole consuetudini di tradizionalismo nei comportamenti giapponesi, ai nostri smaliziati e disincantati occhi occidentali, (ormai troppo pieni di ideologie contestatorie vecchio-nuove, impastate a raffica e sputate fuori dal marketing di ogni cosa), appaiono snervanti, addirittura oppressive. Talvolta ne ridiamo, bollandole come segni di un certo candore infantile nella cultura. E invece sono solide fondamenta che fanno sì che in Giappone i servizi funzionino con efficienza. Che la burocrazia non si ammali beandosi poi di un potere vile di narcisistica ostruzione. Sono quei gesti, quel modo di affrontare la giornata, magari stereotipati rispetto al nostro modo occidentale di concepire la vita, che permettono alle cose nipponiche di scorrere fluidamente, senza intoppi né crepe di base. È grazie a questa pratica d’insieme di norme etiche che, ad esempio, se lascio la bicicletta fuori da un negozio, senza legarla come un salame, la ritrovo lì, certamente, intatta.
Certo, un afflusso massiccio di stranieri, da ogni paese del mondo, non può non lasciare impronte. Oggi si viaggia per il mondo con più facilità, con minore spesa. In Giappone, per intenderci, nella “Golden Week” appena terminata, non avevo mai visto folle di turisti così oceaniche.
È così che si crea “il mucchio”. È un “effetto mandria”. E al suo interno, statisticamente, qualche elemento maleducato, rozzo, volgare, o anche violento, è per forza di cose contenuto.
Il rischio di tutto questo, quindi? È, ahimè, la contaminazione verso il basso delle nuove generazioni. Aumenta la probabilità che i giovani si comportino in modo sempre più sguaiato, che diventino molto più “sbracati” nel costruire il presente, ma soprattutto nell’organizzare il futuro, cioè la prospettiva esistenziale e valoriale di un paese. Il timore di un sociologo giapponese, leggevo qualche giorno addietro, è che queste influenze esterne modifichino irreparabilmente l’anima del paese e consegnino al mondo un Giappone sempre più spogliato della sua sostanza, la sua “giapponesità”. E lo lascino allo sbando in una situazione culturale sempre più ibridata.
Ovviamente, mi auguro che questa prospettiva non si realizzi. Ho scelto questa terra perché vi ritrovavo tutte quelle meraviglie che avevano fatto decollare le mie emozioni di bambino, tanti anni fa. E oggi queste emozioni sono ancora in quota. Così, nonostante qualche scricchiolio, trovo ancora che nella qualità del vivere quotidiano (servizi, sicurezza, istruzione, lavoro, ecc.) il Giappone sia ancora parecchio avanti rispetto a tanti atri luoghi. Ne ho avuto una personalissima ennesima mini-conferma qualche giorno fa. Durante un lungo tragitto in metropolitana, una bambina di 6/7 anni se ne stava tranquillamente seduta da sola, con la sua uniforme scolastica, il berretto bianco di cotone con il sottomento che lo tiene per non farlo volare, la cartella di cuoio blu scuro con angoli smussati alla marinara. Leggeva da un quadernone con la stessa tranquillità serena di chi si trovi accanto alla mamma e al papà, al sicuro nel soggiorno di casa e con le gambe sotto il “kotatsu”. Dopo una quindicina di fermate, si è avviata soave e leggera verso le porte. Poi è scesa dal vagone e si è incamminata verso le scale che portavano all’uscita dalla stazione. Era da sola, ed era ormai il tramonto. Si è avviata in tutta sicurezza. In pace. Senza paura alcuna. Anzi, addirittura in una collaudata indifferenza generale d’attenzione da parte dei presenti. Fatto, questo, che, per come è organizzata la vita quitidiana in Giappone e a Tokyo, metropoli di 30 milioni di persone, ha del miracolistico rispetto alle altre metropoli occidentali. Il giorno seguente, chiacchierando tramite whatsapp con mia madre, che vive dall’altra parte del mondo, le ho riferito la cosa. Lei si è commossa. …Che dire, forse, nonostante un lieve fisiologico peggioramento della realtà nipponica, possiamo ancora essere ottimisti. Sì, insomma, di fronte a episidi come questi, che in Giappone, ricordiamolo, rappresentano una norna giornaliera iperdiffusa e tendente fortunatamente al banale, io mi sento ancora di poter dire a pieni polmoni, prendendo a prestito una tua azzeccatissima definizione, che il Giappone è ancora “Mon Amour”.
Grazie,Laura, per questo bellissimo post. Ogni volta che qualcuno che conosco dice che sta organizzando un viaggio in Giappone mi vengono i brividi e mi profondo in raccomandazioni severe, pregando di rispettare la cultura che, presumibilmente, si va a conoscere. Sono estremamente insofferente all’abitudine al sopruso che c’è da noi in Italia, e quando vado in Giappone – da sola, dato che il Giappone è uno dei pochi posti al mondo dove mi sento tranquilla al 100% per farlo – mi sembra di respirare finalmente ossigeno, di ritrovarmi a me stessa, proprio per le regole che ci sono e che vengono applicate. E cerci di mimetizzarmi il più possibile, e i turisti mi infastidiscono sempre, proprio per tutte le cose negative per cui si fanno notare e che tu hai dettagliatamente elencato. Alla meglio sono maleducati, alla peggio sono proprio arroganti. Ed anche io mi vergogno ancora pensando a tutti gli sbagli che ho fatto in buona fede, nel corso degli anni, anche per eccesso di gentilezza – ad esempio ringraziare e salutare nei combini. Il fatto è che è davvero preoccupante constatare quanto si sia alzato e continui ad alzarsi il livello di menefreghismo, prevaricazione nei nostri paesi, terribilmente inevitabile che si rifletta anche nei viaggi all’estero.
Un abbraccio
Concordo con tutto quello che hai scritto. Viaggiando vedo spesso questo comportamento nei turisti e mi chiedo sempre se a casa loro si comportano nello stesso modo Abito in Alto Adige, un paese che nei mesi turistici si trasforma, Vedere cartelli di divieto di percorrere sentieri con i tacchi alti mi sembra assurdo eppure c’e chi lo fa. Non c’e piu rispetto per la natura. Forse è troppo facile viaggiare e tutti lo fanno ma c’e chi dovrebbe veramente starsene a casa propria.
P.s. Ho terminato il libro “Non oso dire la gioia”. Veramente una grande prova letteraria. Vorrei produrre molte osservazioni e fare domande a raffica per soddisfare le tante curiosità che sono sorte in me nel leggerlo. Ma temo che, nel farlo, “spoilererei” trame, profilo dei protagonisti e varie altre particolarità contenute all’interno della storia. Quindi, per non rovinare la sorpresa agli altri lettori, mi limito a rinnovarti i complimenti e a ringraziarti per le emozioni che il romanzo ha innescato in me.
Buona scrittura.
Thomas.
Grazie a te Thomas. Sono fiera di avere un lettore attento come te. Grazie davvero per le tue riflessioni sempre profondamente arrichenti.
Come sempre, ricambio i tuoi ringraziamenti, che apprezzo tanto. Sai, per me è facile essere attento. Gli argomenti che tratti sono molto vicini al mio mondo di interessi. Un po’ li conosco. Un po’ li imparo da ciò che scrivi. E questo mi arricchisce. Si tratta infatti di una passione comune per una cultura che non smette mai di stupirmi. E finché sarà così, mi considererò fortunato. Buona fine di primavera-inizio estate.
Condivido appieno, cara Laura. Come sempre, garbata e delicata, ma pungente, acuta. Qualche settimana fa, in un tempio in Thailandia, dove c’era scritto che bisognava coprirsi spalle e gambe, e non entrare in pantaloncini, arriva un gruppo di attempati occidentali, tutti scosciatissimi, uomini e donne. Mi sono vergognata da morire. Io giravo sempre col pareo/foulard/dupatta in borsa a coprirmi spalle o testa a seconda del tempio. Ma ci vuole tanto a mostrare un pizzico di rispetto per le culture che si offrono a noi, e noi le calpestiamo senza ritegno? Non so.
Sono daccordo con tutto quello che hai scritto, spero di comportami sempre nel modo più rispettoso possibile nel mio primo viaggio in questo meraviglioso paese…. grazie!
Grazie Laura. Grazie.
Mi sono commossa…seriamente.
Brava Laura. Grande articolo. Tornato dal Giappone mi sono reso conto del rispetto per il prossimo che ancora resiste ma che come evidenzi, è sempre più in pericolo da un turismo arrogante che pensa di essere a casa propria e fare le proprie regole, fenomeno che prima o poi finirà necessariamente per intaccare le nuove generazioni. E loro, delicati, silenziosi accettano il tutto in quanto tra gli ultimi ad avere una cultura che insegna il rispetto, la tolleranza, l’altruismo. Spero di tornare in primavera perché questo aspetto della loro cultura va vissuta. Vivendo in Giappone ti chiedo: loro sono consapevoli di questo pericolo? Non hai modo di creare… non so… un’associazione, un qualcosa che sensibilizzi sia loro che i turisti che arrivano nel paese? Ad esempio la distribuzione di un libretto che avverta il turista di come ci si deve comportare, un esempio che mi viene ora ma pensandoci su, sicuramente vengono delle idee migliori.