Reiwa 令和- riflessioni su un’era

Con i gessetti, tracciando il nome della nuova era sul muro di casa, c’era una ragazzina di circa dodici anni.
Sbatteva sulle spalle la lunga coda nera, e a fianco il suo giovanissimo padre, la barba disordinata sul volto e i capelli a sua volta raccolti intorno a un elastico fine. Vegliavano entrambi sulle linee bianche e rosse dei kanji, sul muro già segnato a Capodanno, suppongo, quando il cinghialetto dell’anno corrente prese il posto del cane.

Dentro casa, al di là di una vetrata tagliata in quadrati dal legno, si intravedeva il tondo scarlatto su sfondo latte della bandiera giapponese.

Ora che ricordo aveva un monopattino in mano e ai piedi la scatola di legno in cui sciacquavano i tozzetti di gesso. Ridevano della curiosità che, ne erano certi, avrebbe provocato nei passanti quella scritta.

Capita di fare qualcosa per poterlo mostrare. Capita di spartirlo con altri. Accade soprattutto  con la Storia, che coinvolge tutti.

In fondo era ed è la condivisione netta di un momento epocale.

È il caso di Reiwa 令和 (pronunciata reiua). Dell’era che è appena iniziata.

Nella società giapponese il cambiamento dell’imperatore è un evento sconvolgente, storicamente scioccante. L’abdicazione è già avvenuta nella storia del Giappone ma mai dopo il 1868 quando, in reazione alla morte di Mutsuhito, lo shōgun Nogi Maresuke, la massima carica politica del tempo, si suicidò.

La conclusione, in quel caso, prevalse.

È, letteralmente, la fine di un’epoca. Ed enorme impatto sull’opinione pubblica ebbe anche la conclusione del periodo Shōwa. Tuttavia, questa volta, il periodo Heisei si chiude con un softo randingu ソフトランディング, ovvero un “atterraggio morbido”. L’imperatore è vivo e in buona salute. L’abdicazione non giunge come un evento luttuoso ma come il preparativo di una gioiosa celebrazione.

L’imperatore Heisei, più del precedente Shōwa, è stato vicino alla gente, in un rapporto di “guida nelle retrovie” che è tipico della famiglia imperiale e che, mi rendo conto dalle varie interviste che ho rilasciato io stessa in questi giorni, si fatica a spiegare ai giornalisti italiani, all’Occidente in generale che domanda insistente:

«Cosa cambierà? Quali stravolgimenti ci possiamo attendere?»

«Ebbene, nessuno. Nessuno che il resto della storia non stia già elaborando.»

Perché, pur nella spiegazione che tento dettagliata, noto incompresa sul volto del mio interlocutore, che pare si inceppa nell’orecchio di chi ascolta, il ruolo imperiale non sta nell’avanguardia, nello sfondamento, ma nel guardare le spalle, nella selezione, a posteriori, di quanto è accaduto nel mondo e che vale la pena adottare.

Si tratta di rallentare il passo, gravato dal peso importante della tradizione e della storia.
E se la contemporaneità schizza da una parte all’altra, l’Imperatore va piano, accompagna con procedere saggio gli eventi del Giappone e del mondo.
È come qualcuno che lavori a posteriori, selezionando il meglio di quanto è accaduto.

La famiglia imperiale giapponese non è per nulla paragonabile ai reali d’Europa, il suo peso “strettamente politico” è pressoché nullo.
Il culto della persona, non c’è.
Tutto è ruolo, simbolo, forma.

Questo imperatore è stato il primo a studiare all’estero e, ancor prima, il primo principe a non essere allontanato bambino dai genitori che scelsero di allevarlo in prima persona. Fu infatti il primo a ricevere la cura diretta degli imperatori. «La separazione dal bambino non ci pare opportuna», disse Akihito con quella garbata fermezza che mi parve eccezionalmente tenera, paterna.

Sono questi eventi “rivoluzionari”?
Per la famiglia imperiale sì, ma non per la società che già aveva innescato quei preziosi mutamenti.

Una imperatrice donna?
Arriverà, ne sono assolutamente certa. Quando se ne presenterà la necessità.

La tradizione è qualcosa che, una volta mutata, non può tornare più allo stato di prima. Ogni passo, è un passo definitivo.
Per questo serve moltissima circospezione. Ponderatezza nel prevedere ogni possibile conseguenza.

Quando sbagliare non è permesso serve andar piano.

L’impero non “cambia” i tempi. Li legge. Li interpreta. Adotta il definitivo.

Dona il frutto sbucciato, non quello che pende dal ramo, magari ancora immaturo.

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