Nuove passioni

Qualche settimana fa, nella stradina che si dirama dalla stazione di Kichijoji in direzione sud del quartiere, ha aperto un nuovo negozio.

Il cambiamento di esercizio, negli ultimi tempi, si e’ fatto sempre piu’ frequente, quasi frenetico, per via della crisi economica che ha investito il Giappone e che tutt’oggi influenza l’andamento del mercato e dei consumi. I negozi aprono e chiudono con rapidita’ e, sulla stessa strada, dove una volta c’era un negozio di oggetti di seconda mano adesso ha aperto un parrucchiere, ed uno spazio in disuso di pochi metri quadri e’ stato venduto ad un cafe’-ristorantino dal design minimalista.
Mutano con una tale velocita’ che e’ molto difficile ricordare quale attivita’ ha lasciato spazio a quella seguente, a meno che non si fosse soliti recarvicisi.
Ho “pianto” la scomparsa del Tully’s Cafe’ nella zona nord di Kichijoji, un bar che amavo molto soprattutto in estate; mi sono dispiaciuta per la chiusura del negozio specializzato in biciclette, non perche’ fossi una cliente, ma perchè le biciclette hanno un qualcosa che sa di nostalgia, di giovani d’un tempo e di foto in b/n.

Il nuovo negozietto vende vasellame giapponese e scopro d’aver contratto un morbo che si chiama “passione per la ceramica”. Amo la forma, la consistenza e i colori di questi piatti, tazze, poggia bacchette, teiere etc.
Mi promettono una abilità non ancora raggiunta nel cucinare piatti giapponesi e poter così rendere onore alla loro utile bellezza.

Ieri abbiamo acquistato nel negozio 「私の部屋」(watashi no heya: la mia camera) dentro alla stazione di Kichijoji due bellissimi piatti d’un verde intenso e “pieno di cose” che riprende la forma degli antichi gioielli giapponesi chiamati 勾玉 (magatama). E’ stata una gioia ieri sera adagiarvi sopra un buon risotto al mascarpone e pepe rosa ed oggi un altro risotto alla zucca. La bellezza si sposa con la bonta’ e valorizza tutti i sensi.
Bello ammalarsi di nuove passioni …

Il mio Venerdì UNDER CONSTRUCTION

Un po’ di nostalgia.
Per ciò che sembrava esserci ed invece non c’è più.

Oggi, insieme alla mia adorata Sensei, ho letto un articolo di Ogawa Yoko (小川洋子)preso dalla sua rubrica mensile sul Mainichi Shinbun. Mi scopro ogni volta innamorata di questa scrittrice che tira su castelli con le sue parole, costruzioni delicate ma assolutamente resistenti a noia e oblio, tanto che neanche il fiato grosso del Lupo Cattivo potrà mai buttarli giù.
Restano inchiodati alla memoria, o meglio… restano appiccicati alla retina degli occhi, annodati ai capelli, tra lo sporco che si annida nel covo delle unghie. Perchè sono così legati alla corporeità, che fa di ogni organo, arto o accessorio corporio un veicolo d’emozionalità.

Un tè verde, che vien giù dal beccuccio d’una teiera d’un nero-corvo; un tappo di sughero che sembra messo lì apposta ma che, invece, è la risposta a un’esigenza.
E poi piccoli mochi salati 塩もち che hanno la dolcezza del ripieno ai fagioli rossi, per lo più resi crema ma intervallati anche da alcuni chicchi interi, ed il sapore lievemente salato della pasta di riso che lo avvolge. La cucina giapponese sembra vivere di Paradossi e anche di Opposti. In uno stesso mochi allora c’è il salato come il dolce, il morbido ed il duro.

Sono tornata a casa in bicicletta, con il freddo della sera che ti suggerisce il vero cambio di stagione. Cala il sole, scende la notte e d’improvviso si fa freddo. Come spesso mi accade quando giro in bicicletta, ho provato in più punti del percorso la tentazione di sterzare e di andare alla scoperta di strade sconosciute. Le due ruote hanno questo potere, di incuriosire e di insegnare il gusto della libertà di movimento.
Così, in estate, quando alle 18 era ancora pomeriggio, di ritorno dalla lezione della Sensei, ho scoperto la casa con il tetto d’erba a Mitaka, sede di alcuni uffici e voluta da Hayao Miyazaki: un progetto ecologico che spiega come la bellezza dell’immaginarsi tetti verdi di piante e di prati non tosati possa realizzarsi.

Sento gia’ che Kichijoji mi manchera’.

Fedelmente imbarazzata

Sono arrivati infine gli anelli e in un colpo di coda sono sparite altre due settimane dall’agenda. A Tokyo è arrivato il freddo e gli abiti si fanno più spessi. Le code più sottili.

12090004Oggi siamo andati a Ginza a prendere gli anelli. Un esile palazzo incastonato in altri due, infarcito di negozi vari ed eventuali, ristoranti e cafè. Al quinto piano c’è l’orificeria Kunno, artefice delle nostre fedi. Ordinate su forma, misura e personalizzazioni elaborate, appunto, ad personam.
Scopro di avere un anulare più sottile dell’altro e mi accorgo della differente, quasi impercettibile, divaricazione tra medio ed anulare che determina un certo fastidio quando metto l’anello.
Temo dovrò farlo allargare, ma nel mentre aspetto la magia dell’abitudine che fa sì che gli animali accettino col tempo praticamente ogni cosa che non va. Vedremo.

Uscendo dal negozio le due commesse ci accompagnano all’ascensore e si piegano in un profondissimo inchino (a quasi 45°) che permane mentre, infine, si chiudono le porte. Io guardo Ryo con aria interrogativa, lui mi suggerisce che probabilmente è parte della politica aziendale.

Resto ancora lievemente imbarazzata di fronte ad inchini eccessivamente lunghi e profondi: l’occidentale che è in me lo legge inconsciamente come un eccesso di servilismo, l’orientale che è in me lo ignora, come tutto il resto.

Lunghezze, inviti e tartarughe

Oggi lunghe corse tra l’A. University, la scuola di Koenji, l’I. University e di nuovo Kichijoji. Il martedì inizia presto e finisce tardi, come ogni giorno che si porta dietro la necessità di rinnovarsi e di mutare. I giorni più stanchi, per me, sono quelli che si concludono ad un’ora più tarda… come se sentissi la necessità di trasformarli. E se la cifra distintiva della giornata è stato il lavoro, allora la sera sarà lunga e si porterà dietro attività del tutto differenti.

E così questa sera ci sono i pancakes per Ryosuke, una nuova ricetta che ci rende stupidamente allegri, alberghi di cui perfezionare la prenotazione (perchè checchè se ne dica nessun receptionist, italiano o giapponese, parla davvero il clientese), shinkansen il cui orario è da stabilire, bento (cestini da pranzo) in viaggio da architettare, un nuovo ドラマ (soap opera giapponese) da vedere in tv e questo blog da continuare.

Oggi abbiamo consegnato gli inviti al matrimonio a quattro persone. Ne ho lasciato uno sulla porta dello studio della prof.ssa Ito all’università, un altro l’ho dato a mano a Tokuhira-san. Ryosuke ne ha inviati due per posta. Ed io me lo guardo e me lo riguardo ancora incredula che l’invito alle mie nozze sia stampato in due lingue tanto distanti ma che affianchi due persone, come me e Ryo, oltremodo affini. Sono fili di parole ed un trapezio, due culture così appassionate ed amanti di se stesse da accettare difficilmente compromessi… eppure accade. Ed io mi sono innamorata di questi pezzetti di carta infilati l’un nell’altro ad invitare uno le persone al ricevimento e un altro alla cerimonia.

Mi ha molto colpito il fatto che qui in Giappone, al contrario che in Italia, siano relativamente pochi gli invitati al rito e che, invece, la maggior parte delle persone si riunisca direttamente al party successivo. Eppure a pensarci bene non mi risulta affatto assurdo, anzi.
Il momento più intimo è il primo. La festa, giustamente, viene dopo.

L’invito quindi è di base solo al ricevimento ed esclusivamente per le persone particolarmente vicine, all’interno del cartoncino, verrà incastrato un pezzettino di carta che indica luogo ed orario della cerimonia shintoista. Nella busta inoltre si è soliti inserire una cartolina, già comprensiva di francobollo, con cui gli inviati confermeranno la loro presenza tracciando un cerchio intorno al simbolo di Presenza 出席 o Assenza 欠席. Su quelle cartoline, inoltre, gli invitati trascriveranno il loro indirizzo che servirà agli sposi per inviare, dopo il matrimonio, una lettera di ringraziamento.

Concludo postando una fotografia che ho scattato oggi pomeriggio al supermercato mentre cercavo qualcosa da mangiare per pranzo (T_T) e attendevo l’orario di arrivo dell’autobus.

Quello a sinistra è un panino dolce al melone che affonda le sue radici addirittura nella seconda metà del periodo Meiji e che, in questa panetteria, ha preso la forma di una tartaruga grazie ad un gioco di parole. Ovvero:

kame (亀 tartaruga in giapponese) + meron pan (メロンパン melon pan) = KAMERON カメロン.

Ryosuke, appena ha visto la foto che gli ho mandato sul cellulare, mi ha pregato di comprarlo. Troppo tardi, ero gia’ all’università: della serie il bello e il brutto di avere un sistema di trasporti che funziona.

Usaghino, il nostro coniglietto dal caratterino esuberante, si prende la parola e dice “Uuuuu” a tutti in attesa che vengano postate anche le sue foto su questo blog.

L’inizio

Tutto inizia da un matrimonio…

… il mio con Ryosuke, a Kamakura, nel tempio dove suo padre ha chiesto la mano a sua madre e da cui lui può finalmente sentire l’odore del mare, che tanto gli manca nell’aria di Tokyo.
Oggi è lunedì, ultimo giorno di un lungo weekend di preparativi per le nozze che, lentamente ma sempre più, iniziano ad emozionarmi. Il 3 novembre è dietro l’angolo, ed il tempio Tsurugaoka Hachimangu vi fa capolino con crescente insistenza.
Sabato scorso proprio a Kamakura, parlando fitto fitto con Hanawa-san e Fujimoto-san, ho capito quanta poesia sia racchiusa nel rituale del matrimonio giapponese. Ho rivolto domande precise sulle fasi del rituale, sul significato degli oggetti, sulla disposizione degli ospiti a tavola.
Avverto sempre più la necessità di avere accanto solo le persone che vogliono bene a me e a Ryosuke per poter celebrare un momento davvero importante della nostra vita.
Inizio seriamente a crederci.
E così, inizia a delinerasi anche il programma del nostro Grande Giorno:
Programma del giorno del matrimonio

Ore 10.00: trucco e parrucco + vestizione kimono per la sposa, lo sposo e la madre della sposa e dello sposo.
– Finiti i preparative si fanno le foto in giardino
Ore 13.30: partenza degli sposi sul risciò e degli ospiti sullo shuttle bus dall’albergo.

Si arriva all’ingresso del tempio 鶴岡八幡宮, si cammina in processione fino alla Stanza dei Preparativi (控室).
Si cammina in fila, sposo e sposa, la madre tiene la mano della sposa e i familiari piu’ stretti procedono subito dietro. Si procede quindi dal cancello del tempio alla stanza dei preparativi, preposta alla compilazione di un documento da parte dello sposo (in cui egli scrive i nomi dello sposo e della sposa, la data etc) e alla presentazione da parte della sposa dei parenti seduti in fila sulla destra e sulla sinistra della sala.

Nella stanza[1] la sposa sta seduta al centro della stanza mentre lo sposo compila il documento sulla sinistra.
Una volta conclusa questa fase ci si dirige lentamente verso il tempio e solo lo sposo, la sposa e 36 invitati in tutto potranno salire nell’altare superiore del tempio.
Ci si siede in questo ordine:
padre – madre – fratello – sorella – parenti – conoscenti.
[1] La stanza ha il pavimento in tatami quindi ci si devono togliere le scarpe prima di entrare
  1. 1. Ingresso, punto di arrivo di riscio’ e shuttle bus
  2. 2. Stanza dei Preparativi
    3. Recinto sacro ed altare dove si celebra il matrimonio

Il suono del tamburo segnala l’inizio della cerimonia. Essa inizia alle 14.30 e finisce 30 minuti dopo. (… to be continued)

Ryosuke sta finendo di stampare gli inviti (in giapponese e in italiano), ed io inauguro questo blog nella speranza, scrivendo, di seguire più da vicino la nostra vita … che di fascino (benchè sfuggente) ne ha così tanto.

L.