Mary Poppins o "Del Piano B"

“Faremo come Mary Poppins. Seguiremo i venti”

L’ho detto stamattina a Ryosuke mentre consultavo l’ennessimo bollettino dall’ambasciata italiana a Tokyo. Stretto nel suo completo nero da salaryman, con la cravatta di mio padre al collo e i capelli un po’ bagnati, mi ha lanciato lo sguardo obliquo di quando non capisce ciò che sto dicendo.

“May Poppins, dai, quella che partiva quando cambiava la direzione del vento. Dai la tipa con l’ombrello che vola a far la baby sitter ai ragazzini. No? Ma che davvero?”
Ecco, e pensavo di essere io quella traumatizzata dalle regole ferree della mia famiglia in quanto a consumo ridotto di televisione. C’era chi poteva guardarsi tutti i cartoni animati che voleva e chi, dall’altra parte del globo, pregava mamma e papà di incontrare anche lei il famoso Doraemon di cui parlavano i compagnetti di classe. Del resto il primo shock lo subii anni fa quando venni a sapere che qui i Puffi non solo non erano famosi ma che, anche ad esserci, non venivano affatto chiamati così.

Comunque, tornando a Mary Poppins, se i venti soffieranno a sud, ovvero verso la capitale, e soprattutto SE porteranno eventuali (EVENTUALI!) nubi radioattive, ci sposteremo a Fujisawa, la cittadina d’origine di Ryosuke, nella prefettura di Kanagawa, a un centinaio di chilometri da qui. E se proprio ci fosse bisogno di spostarsi nuovamente andremo tutti e cinque, cane compreso, ancora più a sud nella prefettura di Oita. Lì vive il nonno di Ryosuke, il novantunenne padre di sua madre. E’ la regione famosa per il profumo dello yuzu, un frutto a meta’ tra un limone e un mandarino dolce, e per le sculture di Buddha. La casa è inagibile per una famiglia intera. E’ più a misura di nonno, con tutte quelle disfunzionalità che mettono invece a proprio agio un anziano e con la trascuratezza che a noi “moderni”, figli del pc, dell’hi fi e dei wi vari ed eventuali, sembra tale ma che a chi è cresciuto lì, vi ha allevato i propri figli e vi conserva della moglie defunta tutti i suoi ricordi, non lo è affatto. E’ l’antico con un buon retrogusto di vita, pregna, come sempre nel caso degli anziani, di nostalgia.


Ecco, questo è il nostro Piano B. Lo dice la vita, lo dice soprattutto la Sfiga, che con la vita è in combutta: sempre avere un Piano B. Se non altro per poter mettere a tacere i famosi mostri della mente e la paura, che ha il cellulare della Sfiga e la chiama al primo segnale di cedimento. Lo dico così, giusto per rassicurare la “famigghia” prima di tutto, affinchè non si pensi che qui si stia agendo solo di pancia. Ci sono bensì occhi, e testa, e naso, e orecchie. Ci sono mani, pelle, ciglia, gambe.

Quello che accadrà non lo sa nessuno. Sono consapevole che la situazione potrebbe peggiorare. Ma potrebbe anche migliorare.
Modificare la propria esistenza sulla base di un’ipotesi, tra l’altro la peggiore, non giova in alcuna situazione. E’ come l’ansioso che, per sua natura, è destinato a morire prima.
Del resto chi mi dice che Godzilla non possa ritornare all’improvviso? A quel punto dovrei davvero aver paura… con le poche donne bionde rimaste a Tokyo, decimate dal fuga fuga generale, la possibilità d’essere presa di mira si alza notevolmente. Con calma e per favore (citando mia sorella) si penserà anche a Godzilla.

L’ansia − o il fanatismo del peggio.Emil Cioran, Sillogismi dell’amarezza, 1952

*Scrivero’ piu’ tardi, o domattina, della giornata di oggi. A una settimana esatta dal tragico evento.

L’ESODO DELLE VONGOLE

Per fortuna stamattina, allungando il pc a Ryosuke affinchè controllasse le news del corriere al posto mio (evitandomi così potenziali arrabbiature di prima mattina), ho scoperto che l’argomento piu’ ghiotto non è più il Giappone. E’ scalato al terzo posto e i giornalisti, forse infastiditi da questa benedetta centrale che non si vuole decidere a scoppiare, scatenando così la tanto agognata apocalisse (termine più e più volte sfruttato dalla stampa per descrivere la situazione nel Sol Levante), hanno per il momento spostato l’attenzione sulla Libia e sulle questioni di politica interna.
Una sveglia, quindi, votata all’ottimismo.

Adesso sono alla scuola di lingue dove insegno una volta a settimana da un anno e mezzo circa. Un’isola di italianità che mi dà, forse ancor più dell’insegnamento universitario, la possibilità di ascoltare i racconti della gente, di godere di un contatto più personale con gli studenti e di conoscere piu’ da vicino questo popolo meraviglioso.

Ho visto le crepe sulle pareti (poche per fortuna) che ha causato il terremoto ma ho incontrato anche i miei colleghi, tutti positivi, che mi hanno raccontato come stanno vivendo questi giorni e i black-out vari. Sara e i suoi petauri, Carla che mi narra di quel pomeriggio quando erano a lezione ed e’ iniziato il terremoto, l’ordinata fila per uscire in strada e l’asfalto che ondeggiava. E c’è anche chi, con tanta ironia, ammette di aver avuto timore per alcuni giorni di farsi la doccia per via delle scosse.

Siamo andati a pranzo al ristorante italiano e Marco ha constatato la tragedia, la vera apocalisse: L’ESODO DELLE VONGOLE. (vedere la foto per credere!). Dal suo piatto di linguine erano fuggite, il guscio a testimoniare la disdetta, la disfatta…. l’ESODO!!!
Eccolo il prossimo titolo per le pagine dei quotidiani. ^o^
Che faremo se anche le vongole scappano da Tokyo?

Palmo

Domani nella mia area è previsto il black out per tre ore nella fascia dalle 12.00 alle 16.00. Cercherò di uscire.
E se mai dovessi rimanere bloccata da qualche parte in città non mi dispererò.

Adoro Tokyo e stare accoccolata nel suo palmo è una prospettiva che non mi dispiace affatto.


(@Foto da http://eco.nikkeibp.co.jp/)

Collaborazione, per favore

Notizie contrastanti e schizofreniche. Si parla dell’esagerazione dei quotidiani italiani e vi si oppone la minimizzazione delle fonti governative giapponesi, come se a un eccesso in un senso debba necessariamente essere opposto uno in un altro. Non sempre in medio stat virtus.

Io credo nella NHK, in quei tecnici che stanno dando la vita per riparare il guasto alla centrale, nella gente di Tokyo che continua a lavorare, ad andare nei caffe’ a chiacchierare, nei bimbi che girano per strade con le mamme e in mio marito che resta in azienda ogni giorno fino a tardi.
Non mi perdonerei mai di aver lasciato questo popolo di cui mi sento fortemente parte per dei se e per dei forse. Tutti ce la stanno mettendo tutta intorno a me, in un modo che potrebbe commuovere se non fosse che e’ cosi’ giusto, ovvio e naturale da queste parti.
Si fa il tifo e si prega per la buona riuscita della situazione e nel frattempo si conduce la propria vita di sempre, nei limiti del possibile.

Oggi sono uscita tardi. Sono andata in bicicletta fino al parcheggio delle bici dove il vecchietto che indica i posti liberi in cui inserirla mi ha sorriso un po’ di piu’. Cosi’ come il vecchio poliziotto che stasera, quando sono andata a riprenderla, faceva la ronda per le stradine di Kichijoji.
Nel pomeriggio i negozi erano aperti, il banchetto di frutta e verdura su Nakamichi mostrava i suoi prodotti. C’era tanta gente in strada, aveva riaperto anche lo Starbucks.

Era in piena attivita’ anche il grande magazzino interno alla stazione. E di prodotti negli scaffali, come sempre, ce ne erano sin troppi.
I treni sono arrivati in orario e, come si puo’ notare dalla fotografia qui sotto, partivano ogni tot minuti.

Solo quando sono giunta a Shibuya mi e’ arrivata una chiamata di mio marito che mi avvertiva che gli avevano suggerito di tornare subito a casa a causa di un diffuso black out che avrebbe interessato la zona di Tokyo. Ho fatto giusto in tempo a godermi una vista della piazza di Shibuya con gli schermi spenti ma colma di gente e sono andata al terzo/quarto piano della stazione dove ho trovato un affollatissimo Starbucks. Attesa di qualche minuto, ordinazione di un miscuglio di cioccolato e caffe’, un macaron fatto di mashmallow (?) e qualche riga di un libro che ho acquistato in Italia.

Neanche 5 minuti che le commesse di Starbucks iniziano a girare tra i tavoli per avvertire i clienti del possibile black out, consigliando di tornare il prima possibile a casa onde evitare di trovarsi bloccati in stazione. Alcuni si alzano e vanno via, altri restano come nulla fosse.

Dopo venti minuti ho appuntamento sotto ai tornelli con Ryosuke, che nel frattempo e’ arrivato in Yamanote da Shinagawa. Ci affrettiamo ma non troppo. Aspettiamo il treno successivo perche’ vogliamo sederci e la gente e’ davvero troppa. Meno male che dicono in Italia che Tokyo e’ deserta…. magari lo fosse, altroche’! ^^
Arriviamo a Kichijoji e molti negozi, in vista del black out, stanno chiudendo. Corriamo a prendere le medicine per l’allergia al polline di Ryo e ci avviamo verso il nostro ristorantino preferito di tempura. Cena ghiotta. Pancia piena.

Tornando osserviamo i cartelli appesi sulle porte o sugli scaffali dei negozi che avvertono dell’aggiornato orario di chiusura e dello sforzo nel consumare meno energia elettrica possibile e chiedendo, per questo, la collaborazione e la comprensione da parte di tutti.


La mia reazione e’ strana. Mi trovo a storcere il naso, piuttosto, al ristorante nepalese che pompa elettricita’ nello schermo (dove la signora del negozio continua a danzare scalmanata a ritmo di una melodia del suo paese) e nei cartelli sulla strada, illuminandoli quasi a giorno.
Collaborazione, per favore. Collaborazione

Misurando, ponderando

Tokyo non brilla.
Il black out auto-imposto è un altro indizio. Ieri ho visto per la prima volta Shibuya “spenta”. I maxi schermi non erano funzionanti e i negozi avevano eliminato le insegne innecessarie. I grandi magazzini sono rimasti chiusi per evitare il consumo eccessivo dell’elettricità e intere zone di Tokyo e limitrofe, secondo un calendario aggiornato d’ora in ora, subiscono un’interruzione energetica. I genitori di Ryosuke hanno vissuto la serata a lume di candela.

Non sono riuscita a rimanere troppo a lungo sola a casa. Le notizie in tv sussurrano un dolore insopportabile benchè assolutamente misurato delle popolazioni colpite dallo tsunami. Anzi, proprio perchè controllato fa più male.

Pian piano emergono storie personali: un collega di Ryosuke originario di una delle cittadine totalmente spazzate via dallo tsunami, la macchina targata Sendai che continua a portare oggetti e persone nell’appartamentino al primo piano del nostro palazzo e che ha l’aria di un trasloco senza cose, arrangiato e ultimato in fretta e furia, anziani che indicano appartamenti di gente che ha perso qualcuno nel disastro, passaggio di notizie nella metro.
Tokyo ha gli occhi tristi. Ma non piange.