Accanto alla finestra, tra una pianta di ulivo comprata anni fa a Kichijoji e una pachira che abbiamo chiamato come il mio cagnolino defunto, accanto a due grandi daruma, simbolo di un desiderio esaudito e di un altro che attende e che lotta, c’è un oggettino di 5 centimetri per 3.5, di colore bianco e rosso.
Linee sottili di nero gli animano il volto e un obi rosso circonda il suo pancione.
Quasi due anni fa, per il mio ventottesimo compleanno Ryosuke mi fece un regalo molto speciale.
Era un periodo di grandi cambiamenti. Il mio primo incarico all’università, il lavoro di Ryosuke in società iniziato ad aprile, i preparativi per il matrimonio imminente, l’arrivo dei miei parenti per il loro primo viaggio in Giappone, il romanzo che aveva preso infine forma, l’idea di un trasloco e il sogno di cagnolino da adottare.
E si sa che i mutamenti vengono sempre assorbiti dalla quotidianita’ con lentezza e mai senza fatica, per quella sana resistenza che essa esercita nei confronti di tutto ciò che è nuovo e che rischia di stravolgerla.
Così Ryosuke, in quel 16 agosto 2009, mi regalò un “okiagari-koboshi”
起き上がり小法師.
Mi disse che l’aveva acquistato subito accanto alla stazione di Tokyo, in un negozietto che trattava artigianato e prodotti tipici della prefettura di Fukushima. Lo aveva cercato sul web alcuni giorni prima e, per farmi una sorpresa, era corso a comprarlo subito dopo l’orario di lavoro a Shinagawa e prima di recarsi alla sede centrale della società ad Hamamatsuchō per una riunione generale. Quel poco tempo strizzato tra treni e tornelli per custodire il segreto. La sorpresa del regalo.
La signora del negozio l’aveva trattenuto a lungo e Ryosuke quel giorno fece tardi alla riunione. Quando lui le chiese l’okiagari-koboshi, specificando che si trattava di un regalo di compleanno per sua moglie, lei si mostrò felicissima:
“Sa, vengono spesso turisti cinesi a comprare e quando propongo loro questo oggetto come souvenir lo rifiutano dicendo che non è abbastanza caro, che è troppo semplice. Un vero peccato. Eppure è un oggetto con un significato così profondo”.
Originario della città di Aizu nella prefettura di Fukushima, l’okiagari-koboshi (letteralmente “monico che si rialza sempre)”, è un oggetto di artigianato la cui produzione risale a 400 anni fa. A quel tempo il daimyō Gamō diede ordine di fabbricare queste bamboline come souvenir da vendere in occasione del capodanno.
La caratteristica principale di questo oggettino, che spiega anche il suo nome, è il fatto che pur spingendolo giù si rialza sempre.
Nonostante le sue piccole dimensioni, l’okiagari-koboshi è infatti simbolo di pazienza e perseveranza e, per questo, è considerato un portafortuna per il lavoro, la famiglia, i soldi.
Ancora oggi ogni anno nella città di Aizu durante il primo mercato dell’anno, che si tiene per la precisione il 10 gennaio, vengono vendute queste bamboline di cartapesta.
Se la famiglia è composta da tre membri se ne compreranno quattro, se è formata invece da quattro membri si acquisteranno cinque bamboline e così via, secondo la tradizione che vuole che se ne ponga sempre uno extra sull’altarino domestico.
E proprio per questo messaggio di speranza e di determinazione di cui è pregno, che mi è venuto immediatamente in mente appena è accaduta la recente tragedia in Giappone.
Così, penso, proprio come l’okiagari-koboshi, la stessa gente di Fukushima, colpita da triplice disastro, si rialzerà.
Da quel 16 agosto 2009, a distanza di un mese, scegliemmo lo stesso oggetto come bomboniera per gli ospiti italiani del nostro matrimonio italo-giapponese a Kamakura. Sia per quelli che parteciparono alla cerimonia che per quelli che, fino in Giappone, non riuscirono a venire.
La semplicità dell’oggetto forse stupì, ma per me e Ryosuke voleva essere un dono importante.
Io stessa quando sono sfiduciata, quando penso che non ce la farò, che sono giù e non so come uscire da una situazione di difficoltà, guardo il mio piccolo okiagari-koboshi, quello tra la pianta d’ulivo e la pachira , accanto ai due daruma enormi a suo confronto, e gli do una bottarella.
E, nel vedere che resiste e che ogni volta si rialza, mi dico “Forza Laura, anche questa volta ce la farai. Forza, Laura. Ganbare, ganbare!”
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