Il nuovo lavoro e il gatto del tempio.

Un gatto al posto di un bonzo nel cabinotto che, all’entrata del tempio, è solitamente dedicato alla vendita di oggettini, お守り, libretti, collane etc.

Il cabinotto era chiuso e un gatto bianco sorvegliava dall’interno il traffico (pressochè nullo) di persone che entravano nel recinto del tempio. Una foto scattata un mese fa, il 3 novembre, nel Giorno della Cultura – che era anche il nostro anniversario di nozze – ad Oshiage.
E’ nella foto accanto, lo vedete? Un raro colpo d’occhio che ringrazio.

Una notizia bella e una fastidiosa. Un nuovo entusiasmante lavoro per Ryosuke – che sempre mi stupisce per la sua eccezionale versalità – e un brutto raffreddore per me. Della seconda non mi curo (o meglio, lo faccio standomene a letto) e della prima gioisco.

.

E’ davvero interessante osservare il mondo del lavoro giapponese dal punto privilegiato della “moglie”. La documentazione, i colloqui. Ed ammiro l’esser trasparente del mio 8 (otto, , in giapponese significa “marito”) che ha cercato – e trovato – un impiego che per contratto non ha straordinari. E nei colloqui, con sincerità, spiega che l’equilibrio familiare per lui è la prima cosa e che un lavoro che lo tenga oltre l’orario stabilito in ufficio non fa per lui.

Ed io, inutilmente, spero che un po’ di quella sana intelligenza contagi pure me. Che non mi passi solo il gusto per certi cibi o bevande che una volta neppure mi sognavo di assaggiare, ma che mi siano trasmesse anche disposizioni mentali, serenità interiori a me spesso ignote.

Il lavoro sarà a Yokohama. Ryosuke, che nella regione del Kanagawa è nato e vissuto fino agli anni dell’università e che ha fatto il liceo proprio a Yokohama, ne è entusiasta.
La conosco poco, ma già non vedo l’ora di farci qualche capatina armata di macchinetta fotografica… ❤

(nella seconda fotografia un pochino di Natale nel quartiere)

Dell’essere italiani in Giappone. Un pomeriggio ed una sera a Tokyo.

L’odore intensissimo di miele, zucchero che cuoce e caramello. Giù dal basso, al primo piano del caffè francese dove studiare sembra quasi un privilegio, proviene la fragranza di dolci in divenire e la concentrazione – ben distinta dalla fame – sgocciola via. Fuori piove. No, ha piovuto. Ha minacciato duramente la mattina ma poi nel pomeriggio, per farsi perdonare i suoi eccessi, ha allungato solo nuvole nel palmo.

I momiji si sono fatti rossi, arancio. Nelle gradazioni intermedie che scivoleranno presto verso il rosso. Quello intenso e squillante. Quello che ferma le pupille e non le lascia andare oltre.
Tornando in bicicletta sono passata accanto a frotte chiassose di studenti, l’università chiude le porte e loro si riversano in strada, verso la stazione di Kichijoji.

Il Giappone che parla solo giapponese. Il Giappone che ha chiara, fissa a mente la regola del vivere civile. Il Giappone che è tanti – distinti – giapponesi.

Se ne parlava sere fa ad una cena dell’università. Un ricercatore spiegava quanto irritante fosse per lui quando un collega più giovane gli si rivolgeva in modo informale (タメ語) mentre invece, parlando con suoi coetanei di nazionalità però giapponese, quello stesso ragazzo lo faceva utilizzando nei loro confronti il linguaggio formale (丁寧語).

“Perchè loro sì ed io no? Perchè sono straniero? Voglio essere trattato allo stesso modo. Se mi trovo all’interno di un gruppo, in un ambiente governato da regole precise come quello accademico, voglio essere trattato allo stesso modo”, ribadiva con forza. E al giovane giapponese aveva fatto notare stizzito la differenza di comportamento rivelata dall’uso del linguaggio.

Un ragionamento che non fa una piega.

Se non fosse che se di tanti – distinti – giapponesi è fatto il Giappone anche di tanti – differenti – italiani è fatta l’Italia. E per me è una gioia quando le persone mi si rivolgono in modo informale. Abbiamo convenuto che quella differenza non connota “disprezzo” nei confronti dello straniero ma semplice, genuina “differenziazione”. Ed io SONO diversa. E lo sarò sempre anche se finirò per invecchiarci e morirci in questo paese.

Il fatto che alcuni (non tutti) i giapponesi si rapportino a me senza dover necessariamente inquadrarmi nel loro sistema sociale – che fa sì che debbano rivolgersi a me con più gentilezza perchè più anziana anche di un solo anno – mi rilassa e mi dà la sensazione che questo renda più distesi anche loro.
Ricordo ancora quando pregai Ryosuke di dismettere gli abiti “formali” del ~desu ~masu perche’ li avvertivo come una sorta di distanza.

DSCF0563

Ed io amo essere italiana in Giappone. E l’informalità (che nulla ha della mancanza di rispetto o del prendersi eccessive confidenze) la percepisco come un premio.

Qualunque sia il proprio sentire, comunque, è bene comunicarlo all’altro.
Delle differenze – non necessariamente incasellabili nel bello e nel brutto, nel giusto e nello sbagliato – si nutre questo mondo.

* In foto un tempio (pensando al Capodanno che si avvicina) e due scatti autunnali del quartiere.

Di una domenica, di Miwa e di certi giapponesi

Domenica svelta. Nella sveglia. Nello svolgimento. E nella conclusione.

Con la mia amica Miwa appuntamento in bicicletta davanti alla stazione. Da ieri ha scoperto un posto dove affittarla a 200 yen per 24 ore e le sta tornando la voglia di girare il quartiere viaggiando sulle due ruote. Più economico, salutare e a contatto con il tempo. Quello che svela il cambiamento stagionale. Le stradine che si possono percorrere solo a due. Piedi. O ruote.

Stamattina un gruppo notevole di persone, fascia sul petto e pinzettone alla mano, è andato alla ricerca di cicche e immondizia per le strade del quartiere. Gruppetti di volontari (tante le famiglie con bimbetti) che hanno raccolto ogni residuo di inciviltà – o sfortunata casualità (a chi non è mai caduto uno scontrino dalla tasca?).

Una mattina piena del pane appena sfornato, delle nostre chiacchiere, dei paesaggi urbani che ci siamo svelate l’un l’altra e dello studio. Critica letteraria e letteratura giapponese io, coreano lei. Sussurra la pronuncia delle parole, delle sillabe di questa lingua grammaticalmente tanto vicina al giapponese quanto lontana da un punto di vista fonetico.

Muove la bocca, lavora di pronuncia anche in treno, pur senza emettere suoni.

“Fai paura”「こわいよ!」, le ha detto un’amica. Di quelle giapponesi che si impressionano con nulla.

Ci sono anche loro. Ma basta rimanere “centrati” su se stessi. Che a dar retta alle opinioni discordanti della gente si finisce matti.

"L’ora preferita della sera"

Ancora uno scatto al tramonto, nel tempo che mi dedico ogni tanto per guardare il paesaggio serale dalla ferrovia.
Un aereo che vola all’orizzonte. Lo vedete?

DSCF0619

I colori. Sono drogata dei colori di questo paese.
Citando il titolo di uno splendido libro ormai fuori stampa, questa è per me “L’ora preferita della sera”.

Alcuni libri andrebbero protetti, come creature vive, dotate o meno di parola. La comunicazione sa essere muta. E i libri che escono e poi spariscono, quelli che hanno qualcosa da dire, andrebbero salvaguardati.

Come certi paesaggi, che solo la memoria sa serbare.

Dell’autunno e dello studio

Il cielo. L’autunno giapponese che non è solo rosso ma, come spesso mi accade di ripetere, è anche giallo, verde, marrone, arancio. Arancio come i dolcissimi kaki che si possono gustare in abbondanza in questa stagione. Dolci alle castagne. Decorazioni in tema “momiji” un po’ ovunque.

Qui vicino a casa è pieno di alberi di kaki. Giardini privati. A volte semplici giardinetti nel circuito di una casa a due piani. I tipici tetti blu delle case giapponesi. Il cielo azzurro intenso.

Mai come in questi giorni mi sono fissata a guardare il cielo.
Stamattina, andando al lavoro, ho scorto distinto il profilo del Fuji-san, ancora una volta. L’aria era incredibilmente “trasparente”. E’ il bello dell’inverno.
Domattina, tempo permettendo, andrò a fotografarlo nelle sue vesti diurne.

Mi sono iscritta all’esame di dottorato. Ormai è tanto che studio in vista di questa grande sfida fatta per passione piu’ che per carriera. Che la scrivania è diventata la mia migliore amica. E, devo dire, mi sta piacendo assai. Soprattutto aver ripreso a leggere così tanto in giapponese. E’ una lingua tostissima ma dà soddisfazioni enormi.

    ∧_∧
(・_・ =)
_φノ__⊂)__
/ /三/ /|
|| ̄ ̄ ̄ ̄~|| |
|| ̄| ̄∪∪|| |
||/    ||/