Quotidiane sfilate di moda: la street fashion tokyota

  Ci sono sfilate di moda che si fanno sotto i riflettori, tra flash di fotografi e personalita’.

  Blogger che commentano tutto intorno alla passerella, parlando fitto fitto a bassa voce oppure digitando sui lap-top.
Giornali che riportano giudizi su abiti, cappelli, stili e nuove collezioni.

 Poi, invece, ci sono le sfilate che si fanno sulla strada e i protagonisti non sono ne’ stilisti ne’ modelli ma semplici ragazzi che camminano da un punto A a un punto B della citta’.

 Inutile dire che sono i miei soggetti preferiti insieme a Tokyo, la mia citta’ dell’anima che, come dice Laura G. dall’altra parte dell’oceano (quello pacifico), sembra mettersi in posa in certi scatti.

E Laura ha ragione. Ha sempre ragione, lei. E quando penso a Laura G. mi dico che non e’ affatto un caso che ci siamo conosciute proprio qui e che per pura coincidenza (questa si’) ci siamo incontrate di nuovo in Italia, il giorno prima che io tornassi in Giappone dopo una breve vacanza.

  Ad ogni modo la street fashion di Tokyo e’ una se non LA migliore al mondo in quanto a ricchezza di soggetti, inventiva negli abbinamenti e coraggio.

  E’ pur vero che qui non si ha la brutta tendenza di deridere la gente che si discosta dallo standard, non almeno per la strada, con insulti o risate di disprezzo.
Tutti, in modo o nell’altro, partecipano alla street fashion della citta’ e le donano forma e colore.

  Oggi in Giappone e’ il giorno delle sfilate di moda 「ファッションショーの日」 e il mio modo di presentare la piccola ricorrenza e’ inserire qui, dove resteranno sempre visibili come su una immaginaria passerella, alcune foto scattate negli ultimi mesi (esclusa la prima, che risale allo scorso anno) per le strade di Tokyo o – come la quarta – nei corridoi dell’universita’ ad una collega la cui borsa rimanda all’immagine di un lavandino (!!!).

In ordine: Shibuya, Harajuku, Harajuku e anche qui sotto Harajuku.
Scatti di quest’estate.
Camminare per Tokyo, davvero, e’ sempre stimolante. Buon fine settimana!

Del tempo e del servizio giapponese (2)

   Il tempo nei caffè di Tokyo scorre piano. Per restare ore seduti ai tavolini basta una tazza di caffè, una delle sue infinite varianti dolciose, al maccha, alle mandorle o nocciole, al gusto di toffee o all’amarena, oppure alle alternative gelate quando fuori il caldo si mette d’accordo con l’umidità per rendere insopportabile il solo respirare o bollenti quando il tempo tira dritto verso i rigidi inverni giapponesi. Frappuccini alla starbucks, honey milk latte alla tully’s o hotto/aisu tii alla excelsior.

  Rimani ore con i tuoi libri a studiare, leggere o chiacchierare con le amiche. Che il tempo che è ora non ritornerà e a Tokyo bisogna giocarselo bene, perchè qui la vita va veloce.  
DSCF6245
Veloce come i treni che arrivano in stazione ogni pochi minuti e si spalancano automatici perchè tu possa entrare e subito ripartire. Convogli in cui la mattina i pendolari si tramutano in cose. Come abiti a fiori, spazzole, paia di scarpe, trucchi e altri oggetti che, prima di un viaggio, hai deciso porterai con te e che quindi devono – devono assolutamente – entrare in valigia. E così i pendolari, per salire sul treno già affollato, pigiano palmi sopra alle porte, rivolti verso la banchina, e si spingono dentro. Un passo indietro, uno alla volta. Lo spazio c’è e sembra infinito.
.
Mentre gli addetti, in alcune stazioni con particolare affluenza, aiutano chi è fuori ad entrare nei treni. E nel guardarli ogni volta pensi proprio a quelle ragazze piene di progetti che talvolta si vedono nei film e che, per chiudere la benedetta valigia, ci si siedono sopra, si appoggiano con tutto il peso che hanno in corpo e, facendo acrobazie, riescono a guadagnare l’ultimo centimetro di spazio. 
  Il servizio giapponese va veloce. Si cronometrano le performance perchè i clienti non debbano attendere. Ogni vita qui ha i pattini ai piedi e il proprio lavoro non deve diventare un ostacolo per gli altri.
  Ma accadono anche incidenti.
.
  “Ci scusi per il ritardo” ripete l’inserviente che ha sbagliato l’ordinazione e sta riformulando un caffè.
  “Senta, lasci stare, non ho tempo”risponde una ragazza sui trent’anni. E s’avvicina al banco.
  “La preghiamo davvero di scusarci” ripetono le inservienti, tutte, compresa quella alla cassa che si trova a un paio di metri di distanza.
  “Mi rimborsi la bevanda. Devo andare” riprende sbrigativa la ragazza.
  Va bene. La preghiamo davvero di scusarci”
.
  E nel ripetere altre tre volte la preghiera le inservienti restituiscono i soldi alla cliente mentre questa volta le spalle buia in volto e se ne va.
  Ieri, a Shinjuku, in attesa di incontrare mio marito, ho assistito a questa scena.
  Ai ritmi vertiginosi non ci si abitua subito. Ci vuole un tempo che non c’è e capita che ragazzi appena assunti sbaglino, sprechino quel tempo prezioso e siano destinati a scusarsi chinando impotenti il capo.
DSCF6914
  E mi ha fatto sorridere la coincidenza. Perchè sempre ieri sera, all’ultimo piano della libreria Kinokuniya, ho acquistato dei libri, due dei quali un dono per Kai ed ho chiesto al ragazzo di incartarli. Sulla giacca aveva il cartellino che segnalava che si trattava di un “dipendente in periodo di addestramento”. Il pacchetto ha impiegato una ventina di minuti a giungere alle nostre mani e, sbirciando con la coda dell’occhio, ho notato che è stato riformulato – come il caffè – un paio di volte.
 “Sta imparando, non andiamo di fretta, diamogli il suo tempo” dice Ryosuke che intanto mi ha raggiunto a Shinjuku.
 “Un giorno anche nostro figlio si troverà in quella situazione” fantastico e, in quella lontana fantasia, divento ancora più paziente.
Arriva dopo venti minuti tutto sudato. Questo ragazzo non avrà più di diciannove anni, penso. Non ha imparato ancora le formule fisse con cui un giorno si difenderà dal malcontento dei clienti e finisce per balbettare, ingoiando più saliva che parole.
DSCF6832

   Ma qui è più facile perdonare errori e ritardi di apprendisti. Lo sai, lo vedi ogni giorno, che quei giovani esitanti e balbettanti sbocceranno e saranno presto rappresentanti di quell’eccellente servizio giapponese che ti rende sempre tanto fiera.

Sakanakushon Myujikku 

Il Fuji-san non è uomo e non è donna

  Il Fuji-san non è uomo e non è donna. Non è divinità maschile nè femminile. E’ un monte ermafrodito. Così scrive Takeya Yukie. La lingua giapponese lo permette e non c’è bisogno di definire sempre il sesso delle cose.
In una vecchia canzone per bambini il Monte Fuji ha sembianze umane: ha la testache spunta dalle nuvole, il corpoavvolto in un kimono fatto di neve e i banchi di nebbia che si allungano in lontananza alle sue pendici non sono che le maniche di quell’immacolato kimono.
.
Una antichissima credenza giapponese vuole che le montagne siano abitate dalle divinità e che, per questo, non sia lecito scalarle. Gli dei posseggono quei luoghi e gli uomini non possono e non devono disturbare la pace che vi regna.
Il Fuji-san, monte prediletto nell’immaginario dei giapponesi, era ed è tutt’ora considerato da molti una divinità. E’ la montagna più alta del Giappone ed è simbolo dello stesso concetto di “bellezza” per questo popolo. I giapponesi provano nei suoi confronti ammirazione sì, ma anche quel tipo di timore reverenziale che si avverte per le cose belle e, insieme, terribili.
In Giappone l’appuntamento con il tempo, che procede in centinaia d’anni, definisce sia il ricorrere prossimo del grande terremoto del Kanto che, la storia insegna, accade una volta ogni cent’anni, sia il risvegliarsi del Fuji-san che, invece, erutta ogni trecento anni. Perchè non bisogna dimenticarlo. Che il Fuji-san, anche con il suo kimono di neve indosso, è sempre un vulcano e possiede una lunga tradizione di eruzioni alle sue spalle. In giapponese “vulcano” si dice kazan 火山 che è “fuoco, fiamma” e “montagna”.
.
Accadrà e c’è poco da aver paura. I giapponesi vivono in perpetua attesa di qualche disastro che verrà. Perchè verrà. E dopo che accadrà per un po’ a Tokyo non si potranno stendere i panni fuori e l’aria sarà impregnata delle ceneri del dio che si manfesta. Si girerà forse con le mascherine e muteranno i disegni dei bambini che tanto spesso tracciano il profilo del monte sulla carta.
  E in un territorio tanto “accidentato”, attraversato da frequenti tifoni, scosso da terremoti di notevole portata, travolto da tsunamie da una vasta gamma di altre calamità naturali, la solidarietà e l’aiuto reciproco sono  indispensabili.
.
 Si dice che lo 仕方ない[shikata nai] il “non c’è nulla da fare” che spesso ripetono i giapponesi e che rende perplessi gli stranieri (i quali leggono in questa frase una eccessiva accettazione degli eventi), sia dovuto proprio alle intemperie climatiche cui questo popolo è abituato a fare fronte e che hanno modellato il suo carattere tenace, profondamente rispettoso e sempre collaborativo.
.
 Ma lo “shikata nai” viene spesso frainteso perchè non è un “non faccio nulla e aspetto che le cose si aggiustino da sole”, ma bensì la presa di coscienza della sfortuna da cui poi parte la volontà di fare bene e di “gambaru”, ovvero di dare il massimo nelle proprie possibilità.

Del servizio giapponese (1)

Entri in un negozio in un giorno di pioggia. Metti il cappuccio di plastica al tuo ombrello prima di entrare: c’e’ la macchinetta apposta all’ingresso.
.
E cosi’, anche a tacchi alti, puntellando d’alterigia il pavimento lustro del negozio, cammini sicura. Non scivolerai.
Scegli un abito dopo un lungo girotondo nelle sale, sfogliando stoffe appese ai lati. Eccolo, lo scegli e ti dirigi in camerino per provarlo.
Prima pero’ la commessa ti consegna la “face cover” con cui fasciarti la testa. In questo modo non rovinerai con il trucco l’abito che indosserai, che altre hanno provato, che forse acquisterai tu o che, dopo di te, comprera’ invece un’altra donna.
Ma si’, questo abito ti piace allo specchio e mentre restituisci la “face cover” alla commessa, ti immagini gia’ per strada agitando la gonna scarlatta e il corpetto nero.
.
Vai alla cassa, con l’abito che ti accompagna morbido sul braccio. Paghi e nelle unghie decorate della ragazza passa il resto che, prima di consegnarti, conta davanti a te, come computando una parola. Non lo fa perche’ sei straniera, lo fa con tutti quanti. E’ gentilezza. Ti sorride garbata e tutto nella sua figura e’ cura e bellezza.
 .
Poi, quando ricevi il sacchetto di carta con lo shopping dentro, noti che, dopo averlo chiuso con l’adesivo del negozio (in un modo tale che tu possa aprirlo con facilita’), la ragazza della cassa fa scivolare sopra una copertura di plastica. E’ perche’ non si sciupi con la pioggia che batte il suo ritmo incalzante fuori, in strada.
.
 Lo shopping ti ha messo fame, un appetito leggero che un nikuman e una bevanda fresca possono placare. Il kombini e’ il regno dei desideri passeggeri e, dopo pochi metri, all’angolo di una strada lo riconosci.
  Ordini, paghi e ricevi non uno ma due minuscoli sacchetti. Uno per la bottiglietta d’acqua gelata, uno per il nikuman caldo. Perche’ qui cibi freddi e caldi, per evitare che si rovinino a vicenda, vengono consegnati separatamente.
 .
Tutto familiare?
..
.
  ***Pare che il servizio giapponese, quello nei negozi e piu’ in generale in tutti gli esercizi commerciali, sia il migliore al mondo. Ed io concordo.

Il coniglio in bicicletta

  Ryosuke prende un giorno di vacanza per trascorrerlo con me, perchè anche a vivere insieme, a passare insieme i fine settimana, ci si manca. I gesti sprofondano nella litania del sempre e viene voglia di dedicarsi tempo nuovo. E’ come una fame che ti assale all’improvviso e che non molla.
.
Progettiamo da settimane di tornare a mangiare la soba – che poi e’ la piu’ buona di Tokyo – a Jindaiji (qui alcune foto) a Chofu. Così mi viene a prendere al lavoro ed entrando nel caffè dell’università mi sorprendo di trovarlo in un luogo che nell’immaginario è solo mio.    
.
Saliamo in bicicletta sotto il sole bollente dell’una e attraversiamo strade, percorsi nascosti alla vista di chi sceglie la via maestra, il lungo fiume nelle cui basse acque s’agitano anatre e bianche gru, il verde di campi coltivati, ripidi sentieri che s’aggrappano per salire o per scendere.  
Attraversiamo il tessuto narrativo di questa città piena di storie. 
.
 Ci rincorriamo in bicicletta, io mi fermo a scattare qualche foto e quando possiamo allunghiamo una mano e ci stringiamo forte il palmo. Io che guido sempre a sinistra, lui a destra. La gente una volta ci guardava, chissà se lo fa ancora adesso. Sono io che non la guardo più, tanto sono immersa in Ryosuke e nella strada che si apre davanti a noi.
.
Mi ha detto una cosa a letto stamattina, di quelle che non scordi più. Lo ha fatto come sempre nella sua lingua che è madre e padre dei suoi gesti. Nel giapponese che, per me, è pura sensualità per il suo differenziarsi da uomo a donna
.
Ricordo ancora quando, seduti sul pavimento di legno del dormitorio, avevamo iniziato da poco a frequentarci e io gli chiedevo di leggermi libri, pagine di romanzi, solo per farmi sentire quella lingua che, nella sua bocca, aveva una eco cosi’ tremendamente intensa. Scapigliati ed eccitati, in quella vicinanza che era solo nostra, mi innamoravo sempre più di lui e della sua lingua piena di eccezioni.
.
Poi, sulla via del ritorno, dopo una soba deliziosa, una chiacchierata che ci voleva proprio, baci che sanno di sale e bottigliette di tè comprate e già scolate davanti al kombini, ecco che lo vedo.
E tanto è inaspettato che rischio di non accorgermene neppure. Ma lo vedo. Eccolo
.
Il coniglio in bicicletta.