Il tempo nei caffè di Tokyo scorre piano. Per restare ore seduti ai tavolini basta una tazza di caffè, una delle sue infinite varianti dolciose, al maccha, alle mandorle o nocciole, al gusto di toffee o all’amarena, oppure alle alternative gelate quando fuori il caldo si mette d’accordo con l’umidità per rendere insopportabile il solo respirare o bollenti quando il tempo tira dritto verso i rigidi inverni giapponesi. Frappuccini alla starbucks, honey milk latte alla tully’s o hotto/aisu tii alla excelsior.
Rimani ore con i tuoi libri a studiare, leggere o chiacchierare con le amiche. Che il tempo che è ora non ritornerà e a Tokyo bisogna giocarselo bene, perchè qui la vita va veloce.
Veloce come i treni che arrivano in stazione ogni pochi minuti e si spalancano automatici perchè tu possa entrare e subito ripartire. Convogli in cui la mattina i pendolari si tramutano in cose. Come abiti a fiori, spazzole, paia di scarpe, trucchi e altri oggetti che, prima di un viaggio, hai deciso porterai con te e che quindi devono – devono assolutamente – entrare in valigia. E così i pendolari, per salire sul treno già affollato, pigiano palmi sopra alle porte, rivolti verso la banchina, e si spingono dentro. Un passo indietro, uno alla volta. Lo spazio c’è e sembra infinito.
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Mentre gli addetti, in alcune stazioni con particolare affluenza, aiutano chi è fuori ad entrare nei treni. E nel guardarli ogni volta pensi proprio a quelle ragazze piene di progetti che talvolta si vedono nei film e che, per chiudere la benedetta valigia, ci si siedono sopra, si appoggiano con tutto il peso che hanno in corpo e, facendo acrobazie, riescono a guadagnare l’ultimo centimetro di spazio.
Il servizio giapponese va veloce. Si cronometrano le performance perchè i clienti non debbano attendere. Ogni vita qui ha i pattini ai piedi e il proprio lavoro non deve diventare un ostacolo per gli altri.
Ma accadono anche incidenti.
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“Ci scusi per il ritardo” ripete l’inserviente che ha sbagliato l’ordinazione e sta riformulando un caffè.
“Senta, lasci stare, non ho tempo”risponde una ragazza sui trent’anni. E s’avvicina al banco.
“La preghiamo davvero di scusarci” ripetono le inservienti, tutte, compresa quella alla cassa che si trova a un paio di metri di distanza.
“Mi rimborsi la bevanda. Devo andare” riprende sbrigativa la ragazza.
“Va bene. La preghiamo davvero di scusarci”
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E nel ripetere altre tre volte la preghiera le inservienti restituiscono i soldi alla cliente mentre questa volta le spalle buia in volto e se ne va.
Ieri, a Shinjuku, in attesa di incontrare mio marito, ho assistito a questa scena.
Ai ritmi vertiginosi non ci si abitua subito. Ci vuole un tempo che non c’è e capita che ragazzi appena assunti sbaglino, sprechino quel tempo prezioso e siano destinati a scusarsi chinando impotenti il capo.
E mi ha fatto sorridere la coincidenza. Perchè sempre ieri sera, all’ultimo piano della libreria Kinokuniya, ho acquistato dei libri, due dei quali un dono per Kai ed ho chiesto al ragazzo di incartarli. Sulla giacca aveva il cartellino che segnalava che si trattava di un “dipendente in periodo di addestramento”. Il pacchetto ha impiegato una ventina di minuti a giungere alle nostre mani e, sbirciando con la coda dell’occhio, ho notato che è stato riformulato – come il caffè – un paio di volte.
“Sta imparando, non andiamo di fretta, diamogli il suo tempo” dice Ryosuke che intanto mi ha raggiunto a Shinjuku.
“Un giorno anche nostro figlio si troverà in quella situazione” fantastico e, in quella lontana fantasia, divento ancora più paziente.
Arriva dopo venti minuti tutto sudato. Questo ragazzo non avrà più di diciannove anni, penso. Non ha imparato ancora le formule fisse con cui un giorno si difenderà dal malcontento dei clienti e finisce per balbettare, ingoiando più saliva che parole.
Ma qui è più facile perdonare errori e ritardi di apprendisti. Lo sai, lo vedi ogni giorno, che quei giovani esitanti e balbettanti sbocceranno e saranno presto rappresentanti di quell’eccellente servizio giapponese che ti rende sempre tanto fiera.
♫ Sakanakushon Myujikku