Le 1200 parole per raccontare la pioggia in giapponese
Equinozio di primavera che significa vacanza
Un paese che fa dell’Equinozio di Primavera un giorno di vacanza nazionale è un luogo del cuore per me.
Oggi in Giappone lo è, 春分の日, visto che ieri era domenica.
⟨A fine mese sarà uno spettacolo immenso quello dei ciliegi che si affacciano languidamente sul fossato dalla parte di Kudanshita.
Lo saranno anche i riflessi delle loro braccia nodose, ingentilite da nuvole appese di petali e pistilli, sul laghetto del parco Inokashira a Kichijōji dove, sulla scia di un entusiasmo che nella ripetizione non si infiacchisce, ho scattato per piú di dieci anni fotografie tutte uguali della primavera.
Col tempo ho tuttavia scoperto angoli meno noti, come in prossimità della stazione di Takaidō sulla linea Inokashira, in cui il paesaggio pare in miniatura rispetto al piú noto Naka-meguro. Se sono solo i ciliegi a interessare, e non invece tutta la cornice umana di struscio, bancarelle profumate di cibo, chiasso di gioia condivisa, i migliori sono senza dubbio questi scorci, piú intimi e godibili.
La parabola è chiara. «I doveri del vento sono pochi, – scriveva Emily Dickinson, – accompagnare sul mare i navigli, | scortare i flutti, presentare marzo, | significare ovunque libertà».
Ed eccolo marzo, s’insedia torturando i ciliegi, rendendo ancora piú fragile questo paesaggio esitante, sempre sbilenco. Precipitare fa parte dell’immaginario dei ciliegi: tutto lo segnala, che niente è destinato a restare e che tutto farà ciclicamente ritorno.
La prima persona singolare sarà sempre diversa. La prima persona plurale – ovvero quella che conta – rimarrà invece per sempre.⟩
da «Tokyo tutto l’anno: Viaggio sentimentale nella grande metropoli», Einaudi editore
Benvenuta primavera~
Scatto di Tōkyō di Hiro Goto @hiro_510 su Instagram
Ciò che non si dona ammuffisce
Il profumo della neve dell’Hokkaido
Di uno dei tanti perché io adoro la città di Hakodate.
Il profumo della neve vaga per le strade in Hokkaidō, ti si presenta compatta appena apri la finestra. I vetri sono doppi, perché ne apri uno e, dopo lo spazio di un palmo, eccone un altro. Così anche le porte. Il caldo ha due protezioni ed è buffo ma gli abitanti dell’Hokkaidō a Tōkyō hanno freddo. Il riscaldamento qui è esagerato.
Questo profumo di bianco ha un sinonimo nella mia memoria: freschezza, che è il benessere dell’aria.
Prima di partire Francesca mi ha scritto che “ogni viaggio un poco ci cambia”. Non ho replicato ma ho conservato le sue parole. Ho la fortuna di amici che amano come me le parole e sanno il lungo viaggio che esse sono capaci di fare.
Tutto questo bianco. Ripeto i gesti della sveglia, la colazione sempre un po’ sbagliata in albergo, le parole imperfette che si dicono la mattina.
Scendiamo in treno verso ovest e la neve arretra. Il cielo smorza il verde e resta la terra e la pelle degli alberi, la corteccia nuda.
Da sempre l’Hokkaidō mi affascina per la solitudine che ispira, questo tanto che è lo spazio e questo poco che è l’uomo e le cose che ha costruito. Come una casa collegata da infiniti corridoi, come le regge visitate in Europa: quel percorso artificiale che ti portava dalle stanze della regina all’anticamera di uno degli innumerevoli salotti, alle stanze di un aristocratico e soffitti che sognavano cieli e pavimenti che chissà che passi avevano accompagnato.
Francesca aveva ragione, viaggiare cambia. È il come che non so ancora, perché il viaggio è fatto del suo ritorno tanto quanto del sogno che lo precede, e del partire.
E io non ho alcuna fretta di tornare.