#DiarioDalGiappone n. 8

“Non indietreggiare. È questo il punto debole su cui devi ancora lavorare”

Mishima Yukio

Se c’è una cosa che non devi mettere sotto i piedi, è la bellezza.

Il cibo non si calpesta, il giocattolo non si calcia, il pavimento non si bacia.
Tutto pare sezionato tra l’alto e il basso nella nostra cultura, eppure c’è un momento dell’anno in cui in Giappone la terra è la cosa più bella del mondo e la bellezza la si calpesta.

Capita quando piove tutto quanto può piovere a terra. I petali dei ciliegi cadono a mucchi e da bianchi che apparivano, tutti insieme sono rosa intenso e poi anche i peduncoli, rosa più intenso.
E allora una strada banale diventa non in cielo ma a terra rosa.
Eppure i giapponesi sono solerti nello spazzare via tutto. Nulla si risparmia in nome della pulizia. Eppure adesso, la gente non c’è. La fretta forse non la si è sentita.

E allora la meraviglia, stamane,sul viale di Wakamiya-ōji, verso il santuario Tsurugaoka Hachiman-gū. Era vuota di gente come non mi capitava neppure quando mi svegliavo alle 4 di mattina, col ventre pesante del secondo bimbo, e camminavo prima che arrivasse il caldo dei giorni d’estate.

Il viale era rosa intenso: a terra, un lungo tappeto non rosso ma rosa. Niente macchinetta, solo lo scatto dell’ebook.

Ma che incredibile meraviglia. Domani ritorno.

 

#DiarioDalGiappone n. 7

La Pasqua non c’è in Giappone, non c’è mai stata.
Nel Sol Levante nessuno risorge in questo giorno d’aprile. Per chi crede probabilmente il rito di tutti ha poca rilevanza, è un rito interno, una festa del cuore.

Per me che non credo è tuttavia una giornata in cui tanti che amo hanno la festa nel cuore. Mi ricorda colombe, uova, pranzi in cui talvolta c’era gioia, talvolta la costrizione di condividersi insieme. Ma, tutto riassumendo, è ricordo. E ricordo, per me, significa amore, al di là del colore di quella memoria particolare.

In Giappone la Pasqua non c’è. Ci sono un mucchio d’altre feste che l’occidente non conosce, che neppure sospetta d’altronde.

E’ bello tuttavia sentire che negli amici in Italia, nelle persone care, ci sia come una consapevolezza del giorno, a fronte di un mucchio di date sempre uguali.

Io ho ricevuto una lettera di carta dall’Italia, da un amico importante. Ho ricevuto una lettera email da mio padre.
Mi è stata recapitata dal postino la corda per saltare. Avevo voglia di tornare bambina. Di cadere, di inciampare. Di capire un poco più i miei due piccolini che non fanno che volare a terra, poi rialzarsi, piangere un poco, riprendere subito a saltare, a cadere.

Ho chiesto a Ryosuke di prendermi in braccio, dallo scalino della doccia fino a terra. Per provare, in un modo diverso, come si fa a volare.

#DiarioDalGiappone n. 6

Mi trovo in questi giorni a postare tante foto di me, di Ryosuke, della mia vita pratica, come mai mi era accaduto prima. Credo sia il bisogno di registrare il tempo che passa.

Mai, come in questo momento, avverto la contingenza. L’età che avanza. Che è anche saggezza, per carità, ma anche un mucchio di cose che non torneranno, di cui una parte se la ingoia l’emergenza, il ritmo instabile della vita in questo stranissimo tempo.

Mangio con una insolita consapevolezza, un mochi lo mordo avvertendo i denti smaciullare l’involucro di riso pestato, sulla lingua la polpa.
Accarezzo la tastiera, lì dove una volta la usavo e basta. Mi soffermo sui colori delle cose, gli attribuisco nomi che non mi interessavano neppure.
E poi ragiono affannosamento sui fondamentali, sull’amore, su come si coniughi al sesso, su come se ne estragga un equilibrio, ai sentimenti che si trasmettono ai figli, ai rimproveri che rischiano di romperli o, perlomeno ferirli, a cosa sia la famiglia, a come riprendere fiato dopo una corsa.

Apro libri a casaccio dalla libreria, cerco soluzioni, non con un intento, eppure trovo in qualunque tipo di saggi, uno sull’estetica moderna giapponese, come un altro sulla fisica dei materiali, le stesse domande, le stesse risposte: Come stai? Come reagirai? Ce la farai?

Mi accorgo che questa emergenza che è lunga, ed è come un’apnea in cui ci viene chiesto di attendere 10 secondi, poi altri due, poi un altro ancora, e in cui è proprio l’ultimo, il solo, il più breve persino, a risultare più faticoso, ecco questa quarantena – effettiva, completa, parziale, mentale – scava nel pensiero. Ci si sente talvolta come una mosca nel bicchiere.

E allora cerco soluzioni nei libri, scatto fotografie, per guardarmi negli occhi, per dimostrarmi che le cose importanti restano ferme, anche se tutto il resto ondeggia.

E no, non cerco conforto. Mi darebbero temo persino fastidio. Forse la parte più bella di tutto questo pastrocchio è proprio il fatto di poter ragione, di poter estrarre da questa situazione un pensiero. Un conoscersi meglio.

Non fare nulla

Non fare nulla.
Concedersi il lusso di non scrivere, non pensare, non amare (se non per l’amore inconsapevole che poi è la maggior parte dell’amore), non uscire di casa, non dire nulla per ore, non mangiare, non confessare un errore, non chiamare nessuno per parlare, non ragionare su nulla di intelligente.

Una immensa cosa bella.

Concedersi di non essere quello che si crede di dover essere e fare.

Concedersi di non.

#DiariodalGiappone n*5

Nuvole grigie, che si inspessiscono ogni ora che passa, coprono oggi Tokyo e il Kanagawa.
La pioggia è prevista nel serale, l’acqua ci visiterà tutta la giornata di domani.

Per domenica, come fu nove anni fa, all’indomani dello tsunami, attendiamo invece la #neve. Sì, proprio la neve. Sui ciliegi, sui ciliegi già in fiore.
Ricordo come quell’immagine divenne subito simbolo di #resilienza, della bellezza nonostante.

Sommovimenti stagionali che mescolano tutto ma che mi fanno anche ricordare che «le stagioni del mondo sono quattro, ma che l’antico calendario giapponese dice un’altra cosa, ovvero che le quattro stagioni si dividono in 24 periodi che, a loro volta, si separano ancora in tre parti, fino a creare 72 tempi diversi. Afferma, in sostanza, che ogni cinque giorni subentra una nuova stagione.»

Tutto rinasce, tutto continua.
Ogni giorno è il potenziale inizio di una nuova vita, di un nuovo modo di affrontarla.

Brutte giornate, sì, ma anche momenti struggenti che non ci rendono sempre il peso del giorno che c’è dietro le spalle.

In questa «produzione capitale di inizi» vi si percepisce la speranza che da domani, da oggi sarà tutto diverso.