Il buio che crea la luce

C’è una zona di cecità nella luce più intensa.

In giapponese esiste un’espressione che intende, anzi che “vede” questo concetto. E’ 灯台下暗し “toudaimotokurashi” che si compone di tre parti.

La prima è il doppio kanji di 灯台, che intende oggi il faro, quello arroccato sulla costa o su un’isola ad avvertire nell’oscurità le navi della presenza della terra, ma che un tempo intendeva piuttosto il candeliere. Il secondo è il carattere di 下 sotto. Il terzo è 暗し l”oscurità.

Ed è così che in una successione di kanji, in una singola espressione, è possibile vedere l’idea.

L’idea di come avvicinarsi troppo alle cose, non sempre ce le mostra, bensì ce le cela.
E pare quasi un paradosso quest’immagine della luce che spiega tutto quando ha intorno e nasconde invece quanto ha sotto.

Vale la riflessione di un giorno.

(personalmente, sono a una settimana di riflessione)

Si finisce per diventare ciò che si guarda.

Si finisce per diventare ciò che si guarda.
L’occhio registra. Il corpo lo memorizza. La mente lo ripercorre anche senza averlo davanti.
È quando non serve intenzione che le cose diventano nostre. È quando qualcuno è gentile senza volerlo che è gentile davvero. Sincero perché fa parte di sé. Innamorato perché non ne può fare a meno.
La verità, mi pare, è distinta dall’intenzione.
E il Fuji è ormai parte di ogni ragionamento.
L’ho inseguito per anni tra i palazzi di Tōkyō. Mi arrampicavo su ponti, salivo grattacieli, individuavo zone collinari pur di vederlo.
E ora scendo in spiaggia. Cammino uno o due minuti, ed eccolo qui.
Splendido, maestoso e pacato, pur nella possibilità concreta di svegliarsi ed eruttare da un momento all’altro.
Proprio come credevano un tempo i giapponesi, una divinità.
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*Una fotografia scattata due giorni fa.

Le bugie sono luoghi in rovina.

Le bugie, in giapponese, sono luoghi in rovina.
Il kanji di “bugia” è uso 嘘.
Ha la forma di una bocca e quella di una collina su cui un tempo sorgeva un’antica città, colma di edifici, luoghi sacri e un cimitero.
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E poi un giorno quella città venne abbandonata, il tempo la corrose, andò in rovina. Ciò che rimase fu esattamente quello, rovine, edifici senz’uso.
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Cose vuote, cose senza contenuto, cose munashii  虚しい ovvero “vacue”.
Il concetto a rappresentare la parabola di quella città che sorgeva sulla collina fu la vacuità ed è per questo che il kanji di uso 嘘 in giapponese, affianca questo ideogramma-racconto 虚 a quello di bocca 口.
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口 + 虚 = 嘘
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Cose senz’uso, cose senza contenuto. Cose vacue che attraverso la bocca si trasformano in bugie.
°Bellissimi scatti da un libro fotografico molto amato, che ritrae rovine in Giappone. 「美しい廃墟 - 日本編」

Stropicciature

Le coccole sono la parte migliore, quella che resta fino alla fine. Se se ne fa una abitudine, restano fino alla vecchiaia, quando il sesso se ne va e il corpo si prepara a morire. In quella fase in cui si ha bisogno comunque di amore, di corpo da spartire.
Paio spesso infantile, l’abbraccio, i bacini improvvisi, le stropicciature del volto. Si dá del resto ciò di cui si ha bisogno.
Per questo credo sia saggio insegnare ai figli a toccare il corpo di chi amano, anche a casaccio. Senza una vera intenzione.
Perché so che, dove la mente fallisce, il corpo riporta le parole al livello elementare, quello in cui una parola dice esattamente ciò che vuol dire, al senso principale, senza sfumature in cui perdere la certezza, l’unica che conta in realtà, d’essere amati per quelli che si è.
Le coccole sono un investimento per il futuro. Per quel tempo in cui non ci sarà che quello. ❤️

Il mio amuleto contro la malignità

Le poche, pochissime volte che incappo mio malgrado nella maledicenza altrui – perché, per come la vedo, si tratta di un compito, di una responsabilità della persona di scegliere il luogo in cui stare per salvaguardarsi, di evitare di rivolgere l’orecchio e l’occhio lì dove non solo non ci interessa andare ma dove con buona probabilità non saremo bene accolti – ecco, in quei rarissimi casi smaltisco qusi istantaneamente ogni sentimento di rabbia o tristezza ricordando una frase semplice semplice che mi disse Ryōsuke una volta, una frase che mi viene talmente automatica in mente che ormai rammento a fatica che sia stato lui, per la prima volta, a spiegarmela:
“È tanto più facile distruggere che costruire”
Ecco, anche il mio piccolino di cinque anni e l’altro di tre anni sanno distruggere un puzzle. Ma tanto più complesso è trovare la concentrazione la pazienza, il desiderio e l’abnegazione che serve per superare la fatica di costruirlo. Così chi critica un altro, che sia il suo lavoro, l’estetica, l’atteggiamento.
“È tanto più facile distruggere che costruire”
Ed è esattamente a questa fatica, a questo amore che guida l’eccellenza, che intendo educare i miei piccoli distruttori di casa. Perché ricordino sempre che costruire richiede impegno ma ripaga in “significato di vita”. E che non si deve mai disprezzare nessuno, perché denigrare è “distruggere”, e distruggere è tanto più facile che costruire”.
*Bellissima fotografia di shigatsu0926 ❤️