La Libreria Disabitata

Esiste una piccolissima libreria di seconda mano gestita da un privato, a quindici minuti a piedi dalla stazione di Mitaka, a ovest di Tōkyō.
Si chiama Book Road.
Ed è disabitata.

「無人の古本屋」

 La superficie è quella di una stanzetta di 2 tsubo, unità di misura corrispondente a 6,6m2 circa. Sulle sei librerie a muro, negli scaffali bianchi e ben architettati nell’equilibrio tra pieni e vuoti, sono disposti non più di 500 volumi.

 Due pareti di libri, una occupata da una porta a vetri (completamente trasparente, se non per l’anima di plastica e metallo che sorregge le lastre), un’altra nuda, tutta bianca, interrotta solo da un grande quadro appeso in alto a destra, e a sinistra in basso un distributore automatico a gettoni, formato da due blocchi poggiati l’uno sull’altro, con capsule tonde di plastica dentro.

In giapponese vengono chiamati gacha gacha ガチャガチャ, o gachapon ガチャポンdall’onomatopea dello scontrarsi chiassoso e disordinato (gacha gacha) combinato al suono della pallina che cade (pon). È un rumore brioso, quello del gioco, dell’attesa, della meraviglia. Un po’ come la sorpresa nell’ovetto di cioccolato, ma senza le lamelle di alluminio da scartare, senza il cioccolato da mangiare e tuttavia con l’aggiunta del divertimento fisico dell’infilare la monetina, del tirare la leva e dello svitare la pallina aprendola in due.

Gacha gacha!!!

La Libreria Disabitata è aperta 24h su 24h, 365 giorni l’anno. Nessuna chiave alla porta. Nessuno, lì fisicamente, a custodirla. Se è per questo, penso, non c’è neppure un registratore di cassa.

E allora? Come si fa? Non ruba nessuno?

 Questo piccolo, magico luogo appartiene a Nakanishi Kō, un impiegato di una grande azienda IT (Rakuten), e l’idea di una minuscola libreria dell’usato è nata come un esperimento, per caso.

Per via della mole di libri che aveva accumulato in casa, si era visto costretto a sbarazzarsi di un gran numero di volumi. Lo spazio ridotto, l’amore tuttavia viscerale per la carta e visto che di buttarli non se ne parlava, Nakanishi ha avuto un’idea: aprire una libreria.

Tuttavia un lavoro già lo aveva, e non intendeva neppure cambiarlo. Così, benché sia stato inizialmente scoraggiato da familiari e conoscenti, nell’aprile del 2013 ha aperto Book Road. Ha preso ispirazione da quel sistema di vendita libera in cui mi sono imbattuta spessissimo a Tōkyō, proprio in quella medesima zona (tra Kichijōji—Mitaka—Musashi-sakai) dove ho abitato per i miei primi dieci anni di Giappone: campi coltivati che tagliano l’abitato, e banchetti su cui sono posati sacchetti di cipolle, melanzane, cetrioli, patate, a seconda della stagione, con su scritto il prezzo. 100 yen, 300 yen etc. E subito accanto un sobrio salvadanaio o una scatolina, in cui inserire le monete.

Nessuno a supervisionare la cosa, ovviamente.

Ovviamente?

Sì, ovviamente. Qui funziona così.

Così Nakanishi ha ideato un sistema a dir poco geniale, che il quadro sulla parete di fondo spiega in dettaglio. I libri della Libreria Disabitata costano tutti 300 yen oppure 500 yen, e tale è il costo delle campsule gacha gacha inserite nei contenitori. Basta infilare nel distributore le monete corrispondenti al prezzo del libro che si è scelto e tirare la leva. La macchinetta ingoia le monete, e dentro alla capsula c’è il sacchetto (di colore giallo o blu, a seconda del prezzo) in cui infilare il libro acquistato.

 Tutto qua.

Chi vuole, e pare che accada, dona anche libri che aveva in casa e che entrano così nel circolo virtuoso della Libreria Disabitata. Sotto al quadro che spiega il funzionamento della libreria, c’è infatti una scatola di legno grezzo, in cui infilare i volumi.

Il progetto va talmente bene che Nakanishi ha affittato uno spazio a Kichijōji nel marzo 2019, e si sta preparando ad aprire un’altra Libreria Disabitata.

 Book Road non ha insegne, è volutamente lontano dalla stazione, fatto soprattutto per essere scoperto dalla gente del luogo, che frequenta la galleria commerciale (shōtengai) del quartiere residenziale di Mitaka.

 «Credo nella bontà della gente» ha dichiarato Nakanishi «voglio continuare a crederci sempre.»

善意 zen’i è la parola chiave: “buona fede, bontà, buone intenzioni”.

Sono cresciuta con una serie di proverbi giusti e feroci come “l’occasione fa l’uomo ladro”, e con voci del buonsenso che mettono in guardia dal rischio di mettere in tentazione le persone, perché anche il più retto, sedotto e ammaliato, cadrà.

Eppure il concetto, a ribaltarlo, dà risultati sorprendenti. Creare una situazione ideale di prova, credere nella gente, nella bontà e nella sua onestà, è di per sé una azione straordinaria di educazione civica: serve a stimolare piuttosto la consapevolezza di essere una brava persona, di vivere in una società che ne è quasi del tutto piena. Tranne eccezioni, negative sì, ma eccezioni.

Della lunga intervista rilasciata da Nakanishi a ITmediaビジネスONLiNE (e di innumerevoli altre per riviste e giornali nazionali), alcuni stralci mi sono rimasti nella memoria. Come quando Nakanishi afferma che certe cose sono come l’uovo di Colombo, ovvero che finché non gliele mostri, la gente non ci crede.

Al che l’intervistatore, Doi Yoshinori, commenta:

「世の中にないモノは、実際につくってみせないといけないと」

Ed è effettivamente così, che le cose che nel mondo non esistono (ancora), serve davvero costruirle e mostrarle alla gente.

Questo concetto mi risuona antico e reiterato in parole diverse, quando a casa nostra cala la notte, il bagnetto è finito, i giocattoli tornano controvoglia al loro posto; è allora, quando l’Orso Loretto e il Cane Gigio ottengono l’abbraccio di Sōsuke, che pongo la consueta domanda «Che libri leggiamo? Che libri hai scelto oggi?».

In particolare, lo ritrovo nel libro preferito di Sōsuke, Il posto giusto (testi di Beatrice Masini, illustrazioni di Simona Mulazzani, Carthusia, 2014), che mi fa rileggere ogni santa sera ormai da quando aveva due anni e mezzo.

Nel libro illustrato, contrastando la Vocetta interiore che lo scoraggerebbe dal fare qualsiasi cosa di nuovo, qualcosa perciò di cui, per forza di cose, non si conoscono gli esiti, lo Scoiattolo dice: «Ma è bello fare delle cose che prima non c’erano. Costruirle».

C’è in ogni cultura. Attraverso l’Italia come il Giappone.

Fidarsi della gente, darle una possibilità. Controllare se serve (un cartello, nella libreria, avverte del resto come «Giusto per precauzione, c’è una telecamera accesa»… cosa che invero non c’è), ma poi valorizzare soprattutto il positivo.

Esercitare la fiducia. È necessario.

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