Il tiro alla fune che cambia la geografia del Giappone
C’è una zona del Giappone in cui si giocano annualmente i propri confini territoriali con un torneo di tiro alla fune.
Sì, tsuna-hiki 綱引き letteralmente “tiro alla fune”.
Chi conosce il Giappone, lo spirito autenticamente giocoso che attraversa questa cultura, non si stupirà di trovare una voce wikipedia dedicata, con spiegate in dettaglio le regole di gioco, il numero massimo di partecipanti, la “quota rosa” richiesta nei primi due round dei tre contemplati, il tutto avvolto in quell’atmosfera di serietà assoluta che è caratteristica del modo giapponese di fare le cose: rigoroso, sempre, anche nel più puro divertimento. Cosa che, per altro, ha il vantaggio di enfatizzare l’ironia, il grottesco.
Questo torneo di tiro alla fune (峠の国盗り綱引き合戦) ha avuto inizio più di 30 anni fa e da allora ogni anno si replica la quarta domenica di ottobre, tra la prefettura di Shizuoka, nella città di Hamamatsu – frazione di Tenryūku – e la prefettura di Nagano, nella città di Iidashi, sul valico di Hyōgoshi (una altura di 1,165 metri). Si sovrappone al periodo dell’arrossarsi delle foglie in autunno, quando il fenomeno naturale del kōyō 紅葉 incendia la montagna facendone un kimono cinabro, scarlatto, nelle sfumature dei momiji, piccoli palmi dalle molteplici dita.
Chi vince sposta di un metro i confini del proprio territorio, avanzando in quello dell’altro. E insieme alla fiera consapevolezza della vittoria, a muoversi è anche un cartello, che definisce il punto esatto in cui per quell’anno inizia un territorio e finisce l’altro.
Martelletto in mano, alla fine del torneo, si va tutti insieme a sfilarne l’estremità dalla terra, e la si infila un poco più in qua o più in là.
Presiedono i sindaci delle rispettive città, persino ministri e personalità della politica locale e nazionale. È occasione di viaggio, incentiva il turismo e risolve nel modo più giocoso possibile anche campanilistiche rivalità.
Una delle cose che trovo maggiormente apprezzabili dei giapponesi, è lo spunto alla conoscenza che sanno aprire da appigli apparentemente futili. Sono inviti a entrare, piccole porte di accesso, come botole segrete che si aprono nel bel mezzo di un luogo che sembra inaccessibile. La filosofia insegnata coi manga, il funzionamento del corpo umano a partire dalla visita al Museo della Cacca. Tipo.
Così il tiro alla fune è spunto per studiare il perché della rivalità tra queste e altre terre. Il torneo di tiro alla fune ha preso infatti così tanto la mano che ora si replica anche altrove in Giappone.
Parlando di quello che si tiene ad Aomori, ad esempio, si affonda nella storia, quando la prefettura era divisa in due han ovvero “domini, feudi” (nambu-han 南部藩 e tsugaru-han 津軽藩), ora corrispondenti alle città di Hiranai e Noheji, e sulla cui linea di confine, segnalata dalla presenza di un tumulo di pietre, si tennero scontri cruenti. Luogo di battaglia tra le due parti fin dall’antichità, territorio simbolo della rivalità che continuò anche durante la Guerra Boshin戊辰戦争, oggi è teatro del giocoso torneo di tiro alla fune.
Ne avevo scritto anche nella trattazione della voce kawaii in Wa, che l’occidente ha il brutto vizio di prendersi troppo sul serio, di fissare con inutile severità il confine dell’infanzia, di cosa le si addice, di cose invece diventa “infantile” (in senso peggiorativo) se a farlo è un adulto.
Ci si guasta il piacere di vivere a fissare i confini con severità.
È bello invece scendere a compromesso, giocarseli anche al tiro alla fune se serve, esercitarsi alla flessibilità.
Lo si impara col tempo, che è più conveniente patteggiare una (apparente) perdita di immagine con la gioia di vivere che, quella sì, non te la regala nessuno. Non se non te la sai trovare da te.
La vita è una cosa serissima. La vita è una faccenda esilarante.
E ogni volta, giocando a un ideale tiro alla fune, si decide dove spostarla. Se un metro di qua o un metro di là.
***Le fotografie sono tratte da qui, qui e qui.
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