Il profumo della neve dell’Hokkaido
Di uno dei tanti perché io adoro la città di Hakodate.
Il profumo della neve vaga per le strade in Hokkaidō, ti si presenta compatta appena apri la finestra. I vetri sono doppi, perché ne apri uno e, dopo lo spazio di un palmo, eccone un altro. Così anche le porte. Il caldo ha due protezioni ed è buffo ma gli abitanti dell’Hokkaidō a Tōkyō hanno freddo. Il riscaldamento qui è esagerato.
Questo profumo di bianco ha un sinonimo nella mia memoria: freschezza, che è il benessere dell’aria.
Prima di partire Francesca mi ha scritto che “ogni viaggio un poco ci cambia”. Non ho replicato ma ho conservato le sue parole. Ho la fortuna di amici che amano come me le parole e sanno il lungo viaggio che esse sono capaci di fare.
Tutto questo bianco. Ripeto i gesti della sveglia, la colazione sempre un po’ sbagliata in albergo, le parole imperfette che si dicono la mattina.
Scendiamo in treno verso ovest e la neve arretra. Il cielo smorza il verde e resta la terra e la pelle degli alberi, la corteccia nuda.
Da sempre l’Hokkaidō mi affascina per la solitudine che ispira, questo tanto che è lo spazio e questo poco che è l’uomo e le cose che ha costruito. Come una casa collegata da infiniti corridoi, come le regge visitate in Europa: quel percorso artificiale che ti portava dalle stanze della regina all’anticamera di uno degli innumerevoli salotti, alle stanze di un aristocratico e soffitti che sognavano cieli e pavimenti che chissà che passi avevano accompagnato.
Francesca aveva ragione, viaggiare cambia. È il come che non so ancora, perché il viaggio è fatto del suo ritorno tanto quanto del sogno che lo precede, e del partire.
E io non ho alcuna fretta di tornare.