Il coraggio della lentezza
Quando li trovo, benedico il coraggio della lentezza. Che sia un morbo – buono – e che contagi mezzo pianeta.
Un caffè aperto solo due giorni a settimana, dalle 12 alle 17, in una stradina che affronta un santuario pieno di torii scarlatti e un sentiero che, a sentire la proprietaria, è battuto “solo da padroni di cani che cercano strade dove non circolano automobili, gente che abita nei pressi e che esplora le vie alternative”.
Un menù ridottissimo. Bianco, ovunque, come un interruttore che spegne i colori e accresce la profondità delle ombre. E allora la fretta dov’è? Quella cosa che ti spingeva “a fare di più a vedere di più a vivere di più a di più a priori di più”, dove è finita?
Non c’è.
Come lo stile, se vuoi, visto che la #scrittura – per chi fa questo mestiere – è propriamente una scelta interiore.
Sottrarre, per vedere meglio.
Togliere, per agire in profondità.