#DiarioDalGiappone n.2
Giovani donne in kimono, tre per la precisione, appena sbocciate in una stradina antistante a un negozio che esibisce obi in offerta per una manciata di yen.
Lì le tre ragazze hanno affittato gli abiti, si sono fatte vestire, pettinare, ornare, truccare. Apparecchiare per la gioia di una passeggiata nel sole, a Kamakura, antica capitale che tanto ispira la tradizione del Giappone, non solo il lato anteriore, che chiede ogni giorno più impegno, più amore, più devozione, ma quello nelle retrovie, più lento, meno ingordo di chiamare a sé le persone.
Le tre giovani donne, ognuna stretta in una miscela diversa di colore, scivolano lungo la strada tutta ricurva da cui le osservo camminare, perché scrivere in casa non sono mai riuscita, distratta come sono dal brusio della comunicazione, di internet, del cellulare.
Giorni in cui il Giappone osserva il gioco del mondo, mano a mano che il suo meccanismo si inceppa, e lo studia, lo racconta, lo testimonia come sa fare. Sa – pur continuando a sperare di no, come un bambino che si nega la ragione – che il contagio si allargherà, che anche le sue strade saranno presto più vuote.
Ha giocato d’anticipoo chiudendo le scuole, negando assembramenti, cancellando eventi uno dietro l’altro. Qui, per le allergie, sempre mascherine. Qui la distanza è culturale.
Domani tuttavia saranno pubblicate le opinioni degli esperti. Probabilmente compariranno a lenzuolo su tutti i giornali, invaderanno i palinsesti. Sapremo qualcosa di più.
E tuttavia le tre ragazze ridono allegre, e ogni passo è consumato dal desiderio di ricordarsi così belle, vestite di camelie, d’ondine che richiamano il mare, di boccioli di pruno in fiore.
Selfie a cascata, tanto che paiono ferme.
Ora, solo ora conta. Non cedono solo un passo alla preoccupazione.
E io mi abbevero della loro bellissima, incauta ostinazione.