Ciò che non si dona, si perde

Se esco passeggio. Sono spesso struccata, indosso abiti senza raccordo. Il cappello, la mascherina, il cappuccio.
Poi mi accorgo che manca l’occhio dell’altro o meglio, l’allineamento. Perchè a Tōkyō la gente parla dell'”elegantissima Europa”, degli italiani che sono maestri di stile, ma ignora la forza della propria bellezza. Sono uomini e donne estremamente curati, che è un piacere guardare.
Anch’io ho sempre amato curarmi. Accarezzare le ciglia, approfondire lo sguardo, spalmare marmellata beige sulla faccia.
E allora ho deciso che ogni giorno – per quanto sia il mare il mio solito interlocutore, gente che corre, strade anche semi-deserte inzuppate di notte – ecco, ogni giorno io mi trucco, mi vesto bene.
Non ho da risparmiare per un tempo che verrà. Perchè, in fondo, che ne so se verrà veramente?
Non risparmiare mai nulla. Perché ciò che non si dona si perde.
Lo credo per la scrittura, lo credo anche per la materialità delle cose.
E che meraviglia, dopo una giornata tutta trascorsa davanti al computer, uscire.
Sentirsi, anche per sbaglio, un po’ bella.

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