Agosto Monogatari 「八月物語」
L’ultimo giorno del mese è, per sua natura, portatore di bilanci. Quanti libri ho letto? Quante pagine ho scritto? Quanti piatti nuovi ho cucinato? Quante parole nuove ho imparato? Quanti luoghi ho visitato? Quante volte ho visto i miei amici?
Nulla è così fiscale, invero non li conto. Forse perchè credo in una matematica tutta personale. Tranne i primi – i libri – che catalogo e riassumo, perchè determinano l’andamento dei miei studi.
“Ma studi ancora giapponese?”
Il giapponese non ha fondo. E’ come la borsa di Mary Poppins e basta infilarvi dentro due dita per tirarvi fuori una parola che non si conosce. E per quante volte vi si immerga la mano si riemergerà sempre con un termine dal suono magari simile ad altri ma portatore di significati differenti.
Le parole per loro natura sfuggono, sono ricoperte d’olio e grasso e non si fanno “acchiappare”. Questa lingua poi cela il suo infinito fascino proprio nella complessità della sua forma, dipanata in tre diversi tipi di scrittura, e nella sua illimitatezza.
Cambia con gli anni il modo di studiarlo – non più sui libri di testo ma leggendo libri e saggi – ma non si può sperare in alcun modo di “consumarlo” tutto.
Mi sveglio tardi questi giorni. Tutte le università hanno concluso il calendario accademico, i ragazzi hanno svolto gli esami e – secondo un principio didattico nel quale credo profondamente – hanno mischiato tensione a divertimento. Nei fogli di commento che chiedo loro di scrivere a fine semestre trovo grafie, aggiunte, valutazioni del corso e persino pareri sul mio modo di vestire.
E’ curioso ma dopo le prime lezioni noto che molti di loro vengono a lezione vestiti un po’ più curati, un filo di trucco, un’acconciatura diversa, un accessorio che spicca. E spesso mi chiedono un parere: “Sensei, le piace? Cosa ne pensa? Mi sta bene?”.
La bellezza di insegnare all’università è veder crescere i ragazzi, notare negli anni i loro cambiamenti.
Chi mi dice che aveva paura del contatto con gli altri ma grazie alla lezione – durante la quale, per facilitare la comunicazione e lo stringere di nuove amicizie, faccio loro cambiare più volte posto – hanno superato il timore. Chi mi dice che è un piacere, che l’Italia ce l’ha nel cuore. Che vorrebbe viaggiare. Perchè la maggior parte di questi ragazzi non ha mai visto l’Europa.
E poi, secondo una caratteristica tutta giapponese, alcuni ti scrivono a fine semestre anche letterine che riempiono di disegnini e faccine. Ringraziamenti a suon di ありがとうございました e 後期もよろしくお願いします.
Così le vacanze d’estate sono iniziate e molti di loro torneranno per la festa dell’o-bon a casa, nei differenti frammenti di Giappone di cui sono originari. Io resterò a Tokyo quest’anno. Mi godo il canto delle cicale che urlano indecifrabili, struggenti sentimenti e lo spirito febbrile delle olimpiadi londinesi che arrivano in Giappone a suon di judo, calcio, nuoto. Con Ryosuke pero’ faremo gite e gia’non vedo l’ora.
Vi saranno a giorni le strazianti commemorazioni per le vittime delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki e, come ogni anno, mi chiederò come hanno fatto i giapponesi a perdonare gli americani e come fa il mondo a non sospettare di un popolo che pretende lo smantellamento degli ordigni nucleari quando è l’unico ad averne mai fatto uso*.
“Dopo la guerra eravamo terrorizzati dall’occupazione, dalle ritorsioni degli americani. Ma furono così gentili nei nostri confronti. Provammo solo riconoscenza”
Così anni fa mi spiego’ un’anziana signora giapponese quando le chiesi il perchè. Lei era lì e ci sono cose che io non potrò mai capire. E sono grata a questo tempo che è ragione della mia ignoranza.
(*mia personalissima e non necessariamente condivisibile opinione, si capisce.)
Bellissimo questo post, grazie!
proprio perche ne hanno fatto uso, sanno cosa significa.
cosi` come i giapponesi che sono stati gli unici a subirli. Ed e` vero che i primi americani che gestirono l’occupazione, furono persone di grande ingegno, cultura e sensibilita`.
Bel post, simpatici i tuoi alunni 🙂 buone vacanze, buone gite, buon matsuri, buon hanabi … buon tutto 😀
Bellismo post! È sempre un piacere leggerti 🙂
Sulle commemorazioni, che dire… solo tanto silenzio e rispetto.
E devo dire che la vecchina con la quale parlasti a proposito del post Hiroshima e Nagasaki aveva ragione da vendere. Ora, non voglio certo tenere una tediosa lezione di storia (senza falsa modestia, credo di saperne abbastanza sulla storia dell’amato Sol Levante), ma è evidente che l’occupazione americana fu improntata al rigore, certamente, all’attenzione a che non si diffondesse in un nuovo, potenziale alleato il “morbo” sovietico, ancor più evidentemente ma… SEMPRE improntata al rispetto nei confronti dei vinti e dei loro valori. I giapponesi (popolo che rispettano sempre un nemico, anche giurato, soprattutto se si dimostra più forte… pare assurdo nella nostra logica, ma per loro è così da sempre) questo lo percepirono, ed è uno dei motivi per cui, ancora oggi, gli statunitensi sono gli stranieri mediamente più amati in Giappone. Fra gli altri motivi che hanno fatto “passare oltre”, rispetto alle devastazioni del 1945, il fatto che l’ex nemico li coinvolse a livello commerciale nella guerra di Corea (cosa che fece arricchire non poco molte grandi e medie industrie giapponesi) e, soprattutto forse, il fatto che proprio gli occupanti americani hanno portato la democrazia, vera, in Giappone, con valori della rappresentatività davanti al popolo; di una Costituzione dai principi democratici; della parità (almeno di principio) fra uomini e donne; della libertà religiosa etc…
Tanto che, quando McCartur (comandante in capo per le operazioni del periodo di occupazione americana) lasciò Tokyo per tornare in America nel 1952, molti giapponesi piansero e lo appellavano come lo “Shogun Biondo”; ed oggi, proprio i giapponesi sono un popolo profondamente pacifista, che ripugna il ricorso alla violenza come principio, ed ogni volta che si è anche solo TENTATO di modificare l’art.9 della Carta costituzionale che sancisce il rifiuto, da parte del Giappone, a ricorrere alla guerra come mezzo di risoluzione di controversie internazionali, le reazioni di protesta del popolo sono state veementi.
Per cui, da uno, come me, al 100% innamorato del Giappone, non risulta comunque difficile capire i motivi per i quali i cari “nippo”, nonostante il passato, non serbino particolari rancori nei confronti degli USA. Quello giapponese è un popolo estremamente intelligente, e sa bene che, se dopo la guerra si è ripreso così in fretta e bene, tanto, oltre alla propria forza di volontà, lo deve proprio agli ex-odiati americani.
E, per chiudere (ho accorciato e banalizzato il più possibile i concetti esposti, ci vorrebbero ore per “srotolarli” bene…) e per onestà intellettuale mi pongo una riflessione. Il mio amore, enorme, per il Giappone non mi blocca dal fare analisi a me stesso “scomode”: dati il militarismo ed il nazionalismo imperanti che in Giappone si respiravano negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso e le conseguenze che ne derivarono (su tutte: il sacco di Nanchino ed i campi di concentramento, stile Germania ed Unione Sovietica, in giro per il Sud Est asiatico), siamo proprio sicuri che, con a disposizione la tecnologia nucleare, lo Stato Maggiore giapponese non ne avrebbe fatto uso??!! Io ne dubito fortemente, ed anzi sono convinto che gli USA usarono le atomiche perché furono i primi ad averle, ma facevano (e fanno tutt’oggi, ahimè, gola un po’a tutti).
E mi convinco sempre più che in quel decennio, fino alla fine delle ostilità nel 1945, si respirasse a livello globale uno stato di follia tale che, al di là dei vincitori e dei vinti a livello politico-militare (quelli ci sono sempre) un unico, vero sconfitto sia facilmente individuabile: l’umanità, che in 10 anni circa ha “giocato” a massacrarsi ed è scesa a bassezze che raramente, nella storia, si sono ripetute.
Sono andato un po’lungo, scusa Laura!!! Ma l’argomento mi appassiona tanto!!! Un abbraccio a tutti!!!
adoro leggerti e come essere in Giappone li con te^^
Non conosco il giapponese e quindi posso solo immaginare la sua complessità da come lo descrivi, ma so bene che in ogni lingua ci sono sempre sfumature nuove da scoprire (anche nella propria), anche perché per fortuna le lingue non sono immobili, ma si evolvono continuamente come i popoliche le parlano. I tuoi post sonos empre molto suggestivi e piacevolissimi da leggere, oltre che spunto di numerose riflessioni. Mi piacerebbe riuscire a leggerti più spesso, ma purtroppo per mancanza di tempo ogni tanto qualche tuo post me lo perdo. A volte sarei tentata di stamparmeli e leggermeli tutti come un libro …. 🙂
“Errata corrige”… data l’ora tarda in cui ho scritto questo commento, la lucidità non era perfetta…
Il popolo giapponese “rispetta”, non “rispettano”, ovviamente…
Ed il comandante in capo delle forze di occupazione era Douglas MacArthur, non McCartur, ovviamente… XD
Saluti a todos!!! ^^
Questo post è adorabile 😀
Ho visto praticamente tutto,le letterine, le risatine……..
vorrei andare a tokyo, ho 1000 domande! SE VUOI, riusciresti a rispondermi? via mail, o in altro modo, ma in maniera privata, please???
Grazie e complimenti x il tuo blog
penso sia proprio questo il bello di insegnare…
sono curiosa di leggere i tuoi resoconti delle gite!
anch’io mi pongo la tua stessa domanda sul loro atteggiamento verso gli americani, ma penso sia meglio così per loro.
un abbraccio
Che meraviglia queste immagini e quello che scrivi… <3 <3 <3
Non sai la volgia che mi trasmetti di venire nel luogo più trascendentale dei mei sogni. Continua a farmi sognare con le tue belle foto, ciao, Deb.
Non sai la volgia che mi trasmetti, con le tue fote e i tui racconti. Ho una voglia immensa di venire nel posto dei miei sogni. Grazie continua a farmi sognare, ciao, Deb
Un caldo consiglio che mi sento di dare, sia per chi vive o chi sogna di vivere in una terra come il Giappone, distante da noi europei tanto territorialmente quanto come filosofia di vita, è di non idealizzare troppo un Paese.
I libri di storia ci insegnano tante cose (e intendo sia stampe occidentali che orientali, così da avere una visione a 360° degli eventi), una delle quali è che nessun Paese coinvolto volontariamente in una guerra è innocente; parlo di Paese inteso come Stato, un ente pubblico (giuridico, politico ed economico), e non popolo, non le singole persone che, possibilmente, vivono in un territorio martoriato dalle guerre, uniche e innocenti vittime di tali episodi. Il Giappone all’epoca ricorreva a una politica estera aggressiva, com’è stato accennato in un altro commento, che mirava all’espansione dell’impero – un tipo di politica conseguenza del pugno di ferro statunitense. Nessuno è innocente, pertanto, ogni azione è stata dettata da altre precedenti e importanti, gravi, e tutte, nessuna esclusa, non possono essere giustificate in alcun modo, quando si ricorre alle armi, sia l’attacco nipponico ai baluardi di attacco/difesa statunitensi che, tanto meno, la distruzione a sorpresa di due città giapponesi stracolme di veri innocenti. Sono discorsi molto limitati e limitanti, i nostri, non si possono intrappolare in meri post segnalati da date che riempiono un blog, non perlomeno senza discuterne abbondantemente. Gli aggressori attaccano e le vittime perdonano (perché le guerre insegnano questo; c’è paura, oltre al buon cuore di una popolazione, e molta saggezza e intelligenza che tendono a prevenire che eventi del genere si ripetano con facilità; dagli errori si impara, dopotutto), da ambo i lati, non ci sono ferite più o meno gravi quando milioni di persone sono già morte. Né, inoltre, esistono persone sane di menti che inneggiano alla guerra per risolvere problemi di qualunque matrice, a meno che non fai George W. Bush di nome.
Questa visione del Giappone puro è quello che crea tante, troppe aspettative verso un Paese che semplicemente rispetta le proprie, particolari tradizioni, come tanti altri, spesso però meno rispettati perché decisamente più deboli.
La discussione la lascio ai libri. Le chiacchiere, inevitabilmente concentrate su un aspetto parziale in quanto privato-anedottico, al blog. Pur apprezzando i vostri tentativi di approfondimento, rimango sempre stupita dal fatto che cerchiate in un blog (e ripeto blog) una visione che spetta invece a testi (in ogni lingua) e aule universitarie.
Abito qui da piu’ di dieci anni. La mia visione e’ tutt’altro che idealizzante. Il blog ha pero’ un titolo che segue una precisa linea editoriale.
I discorsi seri e approfonditi li lascio ad ambiti che li sanno accogliere. Spero un giorno impariate a comprendere la loro separazione e quanto limitata e limitante sia la rete per trattare questioni tanto delicate.
Conscia delle ristrettezze del mezzo non mi azzardo e mai mi azzardero’ ad impostare discorsi pseudo-seri/pseudo-storici che rischiano pericolosamente di scadere nel trito, nel banale e nel qualunquista.
Se si vuol parlare SERIAMENTE di qualcosa lo si fa citando fonti. Chiamatela pure deformazione professionale, ma su un blog da me gestito non troverete mai discorsi di quella portata. Solo esperienze private e aneddoti. Cosa che, appunto, spetta a un blog.
Capisco il tuo punto di vista, e avrei accuratamente evitato di lasciarti un commento del genere se non fosse che ho scorso un momento e letto qualcosa che tendeva a offrire ben più di un semplice punto di vista.
Ti ringrazio di aver lasciato spazio per la mia risposta, sicuramente non intendo continuare oltre perché l’argomento è parecchio scomodo e sì, si addice poco allo stile di questo blog. Capisco la poesia nel narrare le particolarità di un Paese, purtroppo però non basta ripararsi dietro a frasi neutrali, l’opinione esiste e, ancora purtroppo, esistono persone che non condividono per motivi più che palesi (almeno in questo caso).