Ciò che non si dona ammuffisce
Ho la assoluta convinzione che ciò che non si dona ammuffisca. Che ciò che non si condivide si perda.
Così accade alle parole, che hanno un loro tempo (e, a seconda del tempo, un diverso significato), così ai sentimenti che vanno spesi, ora, adesso, mentre li si possiede, senza mai cedere al timore di restarne a corto.
Anzi, più ci si regala più ci si crea.
A me accade con la scrittura, con le persone e con la rete.
Risparmiare fotografie, racconti e pensieri che mi paiono belli, magari allo scopo (pure comprensibile) di dilazionarne nel tempo o inserirle altrove, è, secondo me, un errore.
Si affina lo sguardo, invece, a cercarne sempre di nuove. Perché più le si dona, più di avverte l’urgenza di trovarne.
E allora guardo Emilio alla finestra (1) che si proietta sull’orizzonte di Hakodate, e mi dico che certe cose – se non le si cerca – l’occhio comunque non le trova. Prima serve immaginarle, come un figlio, come un progetto complicato. Bisogna sognarle.
Ecco allora ponti di neve che uniscono due giri di scale (2), un ponte elevatoio, forse una scala sospesa nel nulla; e orizzonti di mare che sono territori di pirati e meduse giganti (3).
Ecco le terme cittadine (4), gente che nel bel mezzo di uno snodo di tram e macchine di Hakodate si sfila le scarpe, solleva un po’ la gonna o arrotola i pantaloni, e immerge piedi e gambe nell’acqua termale.
Sì, se certe cose non sei pronto a vederle non le vedi. E se sei avaro nel raccontarle, le perdi.