«In un momento in cui non si può viaggiare, cosa si può fare?»
«Ci si può preparare a viaggiare.»
Ho risposto così, oggi, durante un’intervista. E mentre lo dicevo capivo quanto fosse vero.
Ricordiamo solo le esperienze per cui abbiamo faticato. I viaggi per cui ci siamo preparati a vedere. Per cui abbiamo studiato i percorsi, qualche frase, i cibi che avremmo voluto mangiare. La storia.
Conoscere le cose, in fondo, significa creare nella nostra mente un #posto per loro. Un posto che prima non c’era.
Come una stanza dipinta per un bimbo in arrivo, la tavola apparecchiata per due, l’ospite che suona il campanello.
Ogni #libro che scrivo ha in parte quel senso.
– Se è un romanzo – che metta in luce sentimenti che erano pure dentro di sé, ma come i vestiti in una stanza senza un armadio, erano a terra, sgualciti, un posto per loro non c’è.
– Se è un saggio – che metta in luce cose che erano nel mucchio e che, venendo in questa terra, si noteranno – certi rituali descritti in «Tokyo tutto l’anno», certi comportamenti dei giapponesi in «Wa».
– Se è un libro di fiabe come «Goro goro» non cambia. Perché ci scommetto, che la prossima volta che verrete in Giappone e guarderete il Monte Fuji, penserete a Daidara-bocchi, il Daruma non sarà solo un oggettino carino posato sugli scaffali di un negozio ma vi racconterà la resilienza, la sua storia. E le volpi 🦊 – disseminate ovunque nei santuari – vi racconteranno la trasformazione, il senso dell’Ombra per Jung.
Ricordiamo solo le cose su cui abbiamo faticato. Le cose che abbiamo studiato. Riconosciamo solo ciò che sappiamo.
Photo Credit 📷 @yu_ya____1173 via @giapponizzati