#DiarioDalGiappone n. 17
Ogni giorno registro il lungo notiziario delle 7 della mattina sulla NHK. Lo faccio per tenermi informata il giusto, non guardo quasi altro. Temo la sovrapposizione delle notizie, la perdita di tempo.
Il lockdown sarà con buona probabilità prolungato di un altro mese. Le cifre dei contagi e dei morti paiono ridicole a confronto con quelle italiane, ma qui il personale medico ha un enorme peso politico e non si prende sottogamba.
Ascolto discussioni pacate, nello stile tipico del Sol Levante, lo stesso che fa sì che resti sempre tanto sorpresa (senza colore) guardando un salotto televisivo italiano. Qui nessuno urla, nessuno si parla addosso. E chi lo fa (praticamente nessuno, va detto), non ci fa comunque una bella figura.
E poi, una cosa che avevo dimenticato è lo stemperamento costante, la pessima notizia intervallata alla sciocchezza, al video virale che ti strappa più di una risata, la mappatura rigorosa del contagio subito seguita dall’angolo dedicato ai giochi che una madre si è inventata per intrattenere i figli in casa.
E’ questa alternanza del brutto e del bello, del serio e del lieve, ad avermi innamorata – tra le tantissime altre cose – di questo paese. Il fatto che non ci si prenda (in fondo) mai troppo sul serio, che ci si ammetta di rimanere bambini pur mantenendo un corpo d’adulti.
Aggiungere peso, sottrarlo. Parlare del contagio, illustrare con disegnini kawaii le indicazioni di rilievo, come lavarsi le mani.
Così alla fine di un notiziario che ti anticipa l’assenza di un altro mese d’asilo, un po’ ti metti le mani tra i capelli, un po’ pensi che la sera (che bello!) andrai a fare una corsa, e vedrai il mare e avrai il vento tra quegli stessi capelli.
L’energia per resistere, insomma, un po’ te la lascia.
Per me, almeno, questa cosa è importante.