Sii paziente, sii gentile!
Ti svegli la mattina e, nei giorni in cui lavori, sai che ogni minuto ti porterà di un poco avanti nella fila. Veloce, nello scatto che dal letto ti accompagna al tavolo dove detergere, spalmare, allungare, passare, spolverare: tutte azioni del truccare. Rapida poi nel lavare, tagliare, sbucciare, versare, mischiare: tutte azioni del mangiare.
E, nella fretta cui ti obbliga l’ultimo momento, tutte questi verbi si mescolano come carte. Un mazzo irregolare di “spalmi il fard”, “sbucci una pera”, di “intanto passi la matita sotto l’occhio”, “tagli il kaki e versi i cereali”, di “sviti il tubetto del rimmel e te lo passi tra le ciglia”.
Solo allora, per ottimizzare i tempi dell’attesa, tra le braccia accogli lui, la sua fame, i sorrisi del mattino, le chiacchiere vocaliche con cui inaugura ogni giorno.
Infine c’è il vestirsi, il sistemare, salutare, baciare, raccomandare e di nuovo baciare, abbracciare e poi infilarsi le scarpe e correre giù a prendere la bici. La borsa nel cestino e via per le stradine assonnate che conducono verso la stazione. Poca gente in strada ma quella che c’è va tutta di fretta.
Poi lasciare la bici al parcheggio e, salutato uno dei responsabili, divenuto ormai un interlocutore del tuo giorno (“Presto oggi!” “No, no, sono in ritardo. Avevo sonno!” “Ah sì? Buona giornata e fai attenzione!” “Buona giornata, a più tardi!”), gettarsi nella stazione.
E lì, in quel calderone di corpi che è l’umanità della mattina di Tokyo, ti ripeti ogni volta che ci vuole pazienza. Anche quella che non hai.
Sembra di nuotare per quanta gente si riversa sulle banchine, in attesa di salire sui convogli. È faticoso persino stare a galla. Perchè nell’ansia dell’ultimo momento c’è chi, in un colpo di pinna, supera qualche tassello dell’invisibile fila che si forma dietro ad ogni cosa che conti: le porte automatiche, le entrate della metro, le scale che portano in superficie, le scale mobili, i sensori della suika.
Chiunque sta combattendo una battaglia personale. Sii gentile.
Leggo di sfuggita questa frase che, passando di orecchio in bocca e di bocca in orecchio, come nel gioco del telefono, viene riformulata ed attribuita a sempre diversi autori. Ma che importa chi l’ha detta, è così vera...
Quando trovo bagagli ingombranti sulle ginocchia del passeggero accanto, quando il mio gomito intento nella scrittura incontra l’impaccio, quando mi innervosisco e ci vorrebbe poco a sprecare in fastidio i venti minuti che ho a disposizione, quando nel perimetro della stazione il mio passo viene bloccato più e più volte perchè c’è chi, di corsa, mi taglia la strada, quando sto per sedermi e qualcuno, in un balzo, si accomoda prima di me, quando potrei dare uno strattone a chi me lo dà, quando sto per maledire chi sale sul treno prima che sia scesa, lì, consapevole che la rabbia è e sempre sarà solo cosa mia, mi ripeto (a volte riuscendo a volte no) “sii gentile, sii paziente. Ognuno sta combattendo la sua battaglia personale”.
Perchè siamo tutti idealmente in diritto d’essere scortesi. Perchè ognuno si trascina dietro un fardello di dispiaceri, delusioni e scontentezze. Ma da qualche parte la catena va spezzata. E qualcuno deve cominciare.
Mi è accaduto a lungo, quando il figlio che volevo non veniva, quando mi vedevo rifiutata di mese in mese in questo desiderio e intorno a me sbocciavano pance come margherite, quando i risultati negavano l’attesa e la dottoressa mi raccontava numeri dietro cui non riuscivo in alcun modo ad immaginare un volto di bambino, quando anche il corpo risentiva d’ogni sforzo e d’ogni cura, mai come lì, nel nascondere il dolore, nel nascondermi il dolore, ho provato riconoscenza per chi, senza nulla sapere, mi ha mostrato gentilezza.
“Sii gentile, sii paziente”
A volte mi dico che basterebbe un solo giorno in cui tutti decidano, quasi per caso, d’essere gentili. Come una città che una notte s’organizzi per spegnere tutte le luci, anche solo per un’ora, e conoscere così il buio, quello vero. Ci saranno forse stelle, forse lucciole in estate, riflessi lunari che, un occhio abituato alle luci dei lampioni e dei fanali, di solito non coglie.
“Sii paziente, sii gentile! Ed immagina” mi dico, “la battaglia personale che ognuna di queste persone sta forse combattendo”.
Non sempre, ma a volte funziona...