La bellezza delle cose complicate
Mi ha sempre affascinato l’arte degli origami 「折り紙」, creature fatte di un materiale familiare come la carta, esseri che, con umiltà, si lasciano plasmare dalle mani. Fogli sottili, perfettamente lisci oppure lievemente increspati che si tramutano in animali, in cose e simboli, cuori, elefanti, gru, in costruzioni naturali o artificiali.
Ma quel che più del resto ho sempre trovato attraente degli origami è il paradosso tra la semplicità che esprimono e la complessità di movimenti che giace sul percorso, sulle giravolte delle dita, il gesto esatto del piegare, ribaltare, tirare.
La carta è il seme, i polpastrelli l’acqua. Gli origami sono carta che fiorisce.
Alcune settimane fa, una circolare di facoltà discuteva il rapporto tra la facilità e la complessità nel sistema universitario giapponese. Nello specifico scriveva di come vengano richieste ai docenti lezioni sempre più facili da comprendere per gli studenti, chiarezza d’esposizione, semplicità di linguaggio, trattazione lineare dei contenuti, accessibilità assoluta.
Eppure più qualcosa facile si presta, meno si esercita a lungo termine la capacità dei ragazzi di gestire la complessità delle informazioni. Ne deriva pigrizia, abbassamento culturale.
Avverto intorno a me un sempre maggior rifiuto della difficoltà, quasi si trattasse di qualcosa di avulso dal piacere, qualcosa che può e sarebbe addirittura preferibile evitare.
Leggere un libro di spessore, affrontare un classico, un film che tocchi tematiche importanti, lo stesso approfondirsi, conoscersi e migliorarsi attraverso un rapporto d’amore o attraverso la solitudine se serve, tentare di capire e di superare un pregiudizio, non sono cose facili. Non lo è la cultura in generale, non lo è neppure fare bene quando si può, con molto meno sforzo, fare male.
Ed ecco che in un batter d’occhio la facilità si trasforma in passività tanto che fare la cosa giusta, per davvero, diventa una difficoltà insormontabile.
Per questo chi è crudele, in fondo in fondo, è sempre un deficiente. Chi usa violenza fisica o verbale, i bulli, i razzisti, sono tutte persone che stanno scappando, evitando, procrastinando, negando. Chiaro esempio d’una fuga. È la “banalità del male”.
E non parlo della semplicità, che è assenza di fronzoli, di costruzioni, ma della facilità che elimina la complessità, danna ciò che non giunge subito e già confezionato secondo i propri capricciosi, e non sempre chiari, desideri.
La fatica è il terreno più fertile al successo.
La cultura è una cosa complicata. Lo è l’amore, lo è fare con passione il proprio lavoro. Nelle cose che hanno scorza e hanno guscio si nasconde spesso il meglio.
Un piacere rinforzato dal guadagno, dalla stima che ci coglie quando superiamo ostacoli e montagne.
Mi ci vuole a volte del tempo per affrontare un certo libro, un certo discorso, scappo, gioco a nascondino. Ma poi ecco che quando allungo le mani, mi arrendo alla necessità, vi ricavo un piacere duraturo. E scopro, il più delle volte, che poi tanto tanto complesso non lo era.
Che rinunciare oggi, spiana la strada al rinunciare domani.
Che la mente a non usarla si atrofizza.
E come un mantra, in quei momenti, mi ripeto:
“Non cercare scappatoie. Non cercare scorciatoie.”
Perchè rischiano di non condurmi davvero alla meta o di farmi giungere comunque con una debolezza che precluderà la buona riuscita di altre imprese, di altri viaggi.
Che magari rischiano di sottrarmi persino il coraggio necessario ad una scelta.
♪ Fabi Silvestri Gazzè “Life is sweet”