A sera ci vuole un poco di dolcezza
Giornata veloce con un sacco di errori dentro. Ma anche gioie minute, di quelle che portano scarpette di neonato a donne anziane. Inutili ma belle.
Bilancio di un giorno. Io lo tiro sempre sulla porta dell’ofuro, quando le ore s’arrotolano intorno alla pelle che bolle, s’appiccicano al corpo che s’abbandona all’acqua calda. Il vapore che fa scivolare le mani e le dita che non riescono a strappare la bustina dei sali termali che nel verde sgargiante, nel giallo senape, nel rosso corallo promettono di portarti a Beppu, Hakodate, Gunma, alle onsen più famose del Giappone.
Io lo schiaffo lì dentro il bilancio del mio giorno, che s’ammolli anch’esso nella vasca, che s’abbandoni al benessere che porta con sè un tempo libero dal fare, dal riuscire, dal dovere.
Che l’inutilità mi rassicuri che le cose giuste sono anche quelle senza un fine, senza uno scopo da quantificare. Perchè il benessere non ha numeri e non ha scale.
「一日を振り返る」ichinichi wo furikaeru è letteralmente, in giapponese, “voltarsi verso il giorno”, guardare indietro quel giorno che è appena terminato. Un’azione che comprende spesso se + congiuntivo, condizionali un po’ feroci, che si mordono le labbra.
È faticoso dire bene di se stessi. Più facile dire male.
Eppure è giusto, a fine giornata, proteggersi dalla severità del proprio giudizio. Esser misericordiosi con le proprie debolezze, con quanto di sbagliato storce i gesti quotidiani. La meschinità dei pensieri.
Come è andata questa giornata, Laura? Cosa hai fatto? Hai fatto abbastanza? Hai fatto tutto quello che dovevi fare?
I bilanci che galleggiano placidi tra le tue ginocchia, carezzano l’alluce e tornano indietro, verso le spalle che rimangono un poco fuori, il collo che s’infreddolisce, la nuca protetta da un panno perchè i capelli continuano a crescere lunghi, sempre più lunghi e le punte non si devono sciupare.
Nell’ofuro c’è solo l’acqua che ti avvolge, la voce della radio che ti insegna, i pensieri che seguono traiettorie tutte loro. Scocchi frecce senza bersaglio. Dove cadranno, ovunque sceglieranno di arrivare sarà giusto.
Alla fine del giorno ci vuole più dolcezza del consueto. Ci vuole un po’ di calma.
E lì, mentre fuori dalla porta trasparente dell’ofuro scorre la voce di una professoressa di letteratura francese che ti racconta in un podcast avventuroso i guai giudiziari di Rochè e di Flaubert, ti fai conquistare dalla fine delle cose. Dal termine del giorno, che non può più farti male. Domani andrà meglio. C’è tempo. C’è ancora il riposo in mezzo.
Domani è lontano un’altra notte.