Creare il mondo dal nulla

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 DSC09176 La cena a casa nostra arriva presto.
  La Gigia che si stende lunga oltre l’ingresso e mi guarda cucinare, io che lavo il riso, immergo le dita in quell’acqua densa e nutriente, verdure da sbucciare, tagliare, sminuzzare, frullare, bollire. E cucinando guardare dorama registrati e rimuginare sul giorno appena andato, sul compito in classe da preparare, sulle slides in power point da sistemare per la conferenza di martedì, su quello studente che odia il padre e che chiede consiglio perchè a volte lo vorrebbe ammazzare, su Satomi che vuole andare in Italia, lo vuole veramente, e questa settimana deve consegnare i documenti per la selezione; sulle ultime analisi del sangue della Gigia, sui suoi dati ballerini che la chemioterapia incasina sempre; sull’amore di Ryosuke che dopo una sera di buio ha ripreso a cantare forte sotto la doccia.
  Ciotole e piatti. La cena è servita.
Ogni cosa è banale in questa vita, destinata a ripetersi e finire.

  Nei miracolosi stati di vacanza, in quei fine settimana in cui ti senti onnipotente, in quelle sere di stanchezza che ti prendono talvolta e ti stringono la gola, quegli incidenti che ti fanno venire una gran voglia di fuggire, anche solo quei pomeriggi del weekend in cui l’anelito a qualcosa di più ti assale, in quei giorni lì sogni d’indossare un velo, di camminare nel deserto, di passeggiare per mercati lontani, per la campagna vietnamita, immagini anche di trasferirti a Londra, di sventolare bandierine sul Tamigi, di studiare lo spagnolo e finire a Gibilterra: tutte esperienze che se non decidi fortemente di fare, se non le programmi con coraggio, prima di morire di sicuro non farai. 

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“Prima di morire”, un’espressione che fa paura e insieme fa venire una gran voglia di darsi una mossa, perchè pensare che in certi luoghi non ci andrai di sicuro mai, ti avvicina la morte, anzi te la butta nel piatto ora, proprio ora mentre lo dici.
“Prima di morire”.

 Scende la notte in questo giorno pieno di pensieri e prima di dormire, come sempre, prendo il kindle. Mi imbatto in una frase di Nietzsche e mi sembra d’un tratto che le risposte ogni giorno te le dia.

 “Se si osserva come taluni sanno servirsi delle loro esperienze vissute – delle loro insignificanti, quotidiane esperienze vissute – tanto che queste diventano un campo che fruttifica tre volte l’anno; mentre altri – e quanti! – pur travolti dai marosi delle vicende più eccitanti, delle più molteplici correnti di tempo e di popolo, rimangono sempre leggeri, sempre a galla, come sughero: alla fine si è tentati di suddividere l’umanità in una minoranza […] di persone capaci di trarre molto dal poco, e in una maggioranza di coloro che col molto sanno fare poco; anzi ci si imbatte in quegli stregoni alla rovescia i quali, invece di creare il mondo dal nulla, del mondo fanno un nulla”

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  È una cosa che rassicura, che allora non c’è bisogno di organizzare, come matrioske all’occorrenza, altre vite nella propria, che il Sahara sarà sempre lontano ma che, al di là di noi, sempre e comunque ci sarà e per qualcuno sarà il banale quotidiano; che non serve uscire tardi la sera, buttarsi nella notte più bastarda di Shinjuku e Shibuya per conoscere il lato buio della vita.

  In porzioni da formica quest’ultima è sempre distribuita, come nelle favole di bimbi in cui una briciola di pane o un tappo di bottiglia possono essere i protagonisti. Basta forse allora aprire gli occhi, rallentare l’ingordigia che tutto possiede e ghermisce, osservare. Creare bolle di spazio nei propri pomeriggi, con le mani nell’acquaio preparando anche una cena, momenti del giorno in cui pensare a ciò che ha preceduto e succederà.

  Basta davvero, solo pensare alla propria vita, strizzarla come un panno e raccogliere l’acqua.
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  Per vivere appieno ci si sente a volte obbligati a fare più di quanto non si vorrebbe. Vien su la frustrazione di non aver visto abbastanza, di non aver viaggiato a sufficienza, di non aver fatto esperienze degne d’una maiuscola a inizio nome.

 Ma è necessario fare tutto per stringere qualcosa tra le mani?

No, questo giorno banale che comuque ho amato fortemente, me lo dice.
Non è affatto necessario.
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