Un kimono bianco e un abito da sposa
Un giorno che inizia presto la mattina, come accade a chi cerca densità. Ryosuke è accanto a me in un letto immenso nella stanza che porta il nome di un fiore, la più bella della ryōkan. Siamo a Kamakura, è il 3 novembre del 2009 e oggi ci sposiamo.
Fuori dalle finestre si sparge il mare a riempire ogni imprecisione della costa mentre sulla destra il Fuji-san s’erge maestoso e gabbiani volano avviluppati alle correnti. Gli zii e i miei cugini sono forse sulla spiaggia a scattare foto.
Mi vesto lentamente, gustando l’attimo di niente che precede l’esplodere del tutto. Poi scendo al piano terra. S’apre in fondo, accanto al giardino, la sala della ryōkan dove avverrà la vestizione. Vi sono paia di scarpe che attendono all’ingresso, abbandono anch’io le mie e salgo il gradino. Lì dove mia madre mi raggiunge insieme a mia sorella che ha appena vinto il concorso di magistratura e che fino all’ultimo non si sapeva se sarebbe riuscita a venire oppure no. Ma c’è anche lei e tutte le donne più importanti della mia vita sono qua.
Al primo piano un’anziana ed una giovane donna s’affaccendano intorno al kimono bianco con disegni d’airone che indosserò.
Ma prima mostrerò il viso e chiuderò gli occhi, allungherò le braccia nude e aprirò le mani, raccoglierò i capelli e porgerò la schiena. Perchè in ognuno di questi frammenti di corpo il pennello bianco disegnerà il mio essere una sposa.
Le labbra saranno rosso fuoco e una parrucca che pesa forte sulla testa imporrà la tradizione delle antiche acconciature. Le setole fanno solletico sulla pelle e nello specchio immenso davanti a me osservo la trasformazione.
Da dietro vedo spuntare mia madre che è felice come una bimba nel suo kimono nero ed oro. Quasi non mi dà retta tanto è bella e fiera. Lo abbiamo scelto insieme dal catalogo che Ryosuke ed io le abbiamo inviato per email. E della sua bellezza parleranno ancora tutti dopo anni, amici che ricordano questo giorno e mi diranno rapiti: “Come stava bene tua madre in kimono. Come lo portava bene”.
Ma io rimango a fissare il mio kimono, quello bianco con l’ampio copricapo, che mi accompagnerà fino alla sala delle presentazioni e poi al tempio, e ripenso a quando mesi fa l’ho scelto a Yokohama in un palazzo a sette piani che ospita tutti gli abiti del mondo. Un piano per i kimono bianchi, quelli tradizionali. Un altro per quelli multicolore da indossare al ricevimento. Un altro ancora per quelli occidentali, il bianco che infesta desideri spesso già esauditi. E poi un altro piano pieno di tinte per i vestiti che fanno Rossella O’Hara in Via col Vento, grassi di stoffe, ricchi di ricami e di volumi.
Allungo le dita a toccare abiti appesi e a svoltare cartellini per capire se posso desiderarli o meno. Devo capirlo subito o il desiderio poi mi trascinerà. Però non li comprerò, perchè qui non è tradizione farlo e perchè non voglio che l’ombra di un armadio troppo angusto li consumi.
Lo abiterò, affittandolo per quel giorno solo, e poi lo restituirò perchè altre donne vi si immergano. Mi chiedo – quasi sperando – se qualcuna dopo di me lo abbia indossato in questi anni, se la mia felicità e quella delle spose che mi hanno preceduto si sia infilata nelle trame della stoffa.
Gli abiti sono centinaia, migliaia. Provo due kimono per la cerimonia ma la scelta è immediata. Per il ricevimento ne seleziono invece tre in stile occidentale da provare. Uno che avevo visto sul catalogo, un altro che stringe forte la vita e svela la schiena e un altro più costoso e voluttuoso, d’un bianco che acceca. Sarà il secondo e ne sarò perdutamente innamorata.
Sono tanto magra, come non lo sono mai stata e mai più lo sarò: è la stanchezza delle spose. Non c’è ancora la Gigia a dirmi di tornare a casa presto, il lavoro e questa vita piena d’eventi sono la priorità.
E poi è arrivato il 3 novembre. Ed ora che il trucco è fatto manca solo la fine della vestizione, che è molto complessa e da sole non si puo’ fare. L’anziana e la giovane donna mi avvolgono in strati e strati di stoffa.
Io alzo le mani al cielo, ruoto il corpo e mi preparo a trasformarmi.
*Le foto di noi sposi le scatto’ il mio talentuosissimo cugino. Grazie Andrea!