Tanabata è un doppiosette, una notte ed un bouquet di desideri. Di quelli che non hanno fiori tra le pieghe di carta velina o plastica leggera ma cartoncini che sgocciolano parole. Dall’alto in basso, come richiede la scrittura giapponese.
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Afferri un pennello, perchè i caratteri siano degni “portatori” delle parole che non solo scrivi ma che – in un senso profondo – intendi. E tracci la frase che si conclude con il morbido suono del ~masuyōuni ~ますように che in questa lingua definisce voglie e aspirazioni.
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“Che riesca a passare gli esami di ammissione all’universita’”
“Che riesca a trovare la ragazza”
“Vorrei sposarmi e crearmi una famiglia tutta mia”
“Che la famiglia sia sempre in salute”
“Vorrei avere un cane”
“Vorrei diventare un giocatore di baseball”
“Che mia madre guarisca”
“Che io possa viaggiare e vedere il mondo”
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I desideri devono essere segreti? No, i desideri hanno bisogno di sostenitori, dell’occhio benevolo degli altri. Del tifo degli astanti, anche se si tratta di perfetti sconosciuti.
Lo penso da sempre. Che per esprimere un desiderio ci voglia un gran coraggio.
Perche’ una volta uscito dalle labbra, persino trascritto con la penna – marchiato da un battesimo di mano oltre che di voce – inizia a vivere di vita propria. Ed ecco che a Tanabata chi sta per per aggiungere il proprio tanzaku o anche chi non lo fara’, si ferma a leggere i desideri degli altri. Ce ne sono di leggeri e divertenti, di pesanti come pietre, di commuoventi.
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Arrivi solo se sai dove stai andando: se decidi la meta e’ solo questione di tempo e prima o poi la raggiungerai.
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Il mio primo desiderio di Tanabata lo scrissi ormai sei anni fa nel ventre della stazione di Kichijoji. Uscivo da una relazione troppo lunga e sfilacciata, di quelle storie che ti nutrono quando sei piccina – che ti salvano persino dallo strazio dell’adolescenza – ma di cui, per crescere, bisogna anche liberarsi a un certo punto.
Quella sera, immersa nel transito di decine di persone e sotto i brutti neon della stazione, ero con persone di cui non ricordo più il nome e solo vagamente i lineamenti. Compagne dell’università che dopo quell’estate non avrei mai più incontrato.
“Laura-san, domani e’ Tanabata! Ti va di scrivere il desiderio sul tanzaku?”
Non sapevo cosa fosse il tanzakune’ cosa significasse Tanabata, cosi’ come non sapevo tantissime altre cose del Giappone. Venni in questa terra senza conoscerla. Senza sapere ne’ chi fosse Doraemon ne’ come si festeggiasse il Capodanno. Avevo le basi della lingua, la sua storia, l’arte e tanta letteratura. Niente del presente, tutto del passato.
“Prendi la carta, scrivi il desiderio, attaccalo ai ramoscelli di bambu’”
Oddio, devo scrivere una cosa tanto importante in giapponese. Mica mi sento sicura.
Aprii il dizionario sulla scrivania messa a disposizione dal personale della stazione, controllai i kanji della parola “kareshi” – fosse mai che mi venisse recapitato un sogno diverso da quello che volevo.
「いい彼氏ができますように!」
E restai a guardarlo, quel mio desiderio di coppia, perdersi tra le decine di altri sogni che dondolavano dai fusticelli. Volevo incontrare la Persona Giusta. Quel tipo d’uomo che la vita non te la cambia ma te la migliora. Che tra due 1 ci fosse un + e non un –. Perche’ in amore la matematica muta tutto.
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A distanza di tanti anni continuo a credere nella bellezza di questa festa e anche se cade in una delle stagioni piu’ complicate del Giappone, in cui capitano giorni in cui la pioggia sfianca anche ferre volonta’ e un’umidita’ soffocante strozza l’aria, Tanabata rimane senza dubbio la mia preferita.
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Da un paio di settimane a Tokyo ho notato ramoscelli di bambu’ con tanzaku appesi un po’ ovunque, nei supermercati, fuori dai negozi, nelle scuole, nelle stazioni, all’universita’, nei ristoranti.
E da qualche giorno se ne vedono nelle buste della spesa delle donne, delle mamme o delle nonne. Comprano dal fioraio i ramoscelli per poi allestirli in casa, dove i bimbi, la famiglia e gli amici potranno attaccarvi i propri desideri.
E ieri, tornando in bicicletta, ho visto bimbetti per le stradine di quartiere, con la cartella gialla sulle spalle, che di ritorno dalla scuola camminavano con ciascuno un fuscello in mano. E nel vederli stretti nelle loro piccole dita e mi sono accorta di quanto sembrassero grandi.
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Ma Tanabata ha per me anche un altro grande fascino. Non solo quello dei desideri espressi – che possono essere quanti se ne vuole – ma anche di quelli che non serve piu’ scrivere perche’ si sono realizzati. E cosi’, essa e’ divenuta per me una bilancia di felicita’ che, una volta di piu’, mi rende grata a questa esistenza, mi da’ la forza di continuare nel percorso e conserva in me quel sentimento d’amore per la vita che spero non mi abbandoni mai.
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Il mio desiderio per voi e’ questo: che abbiate sempre il coraggio di esprimere i vostri desideri e di realizzarli. E domani, da qualche parte, lo scrivero’ in un tanzaku e ve lo dedichero’.