忘れ物 o lo spirito degli oggetti
Sali e scendi e sembra di stare sempre in altalena. Che la vita sia tutta un allungare gambe per montare a bordo di qualcosa, girare il corpo, aspettare d’essere partiti per assestarsi bene o solo “alla meglio”, dondolare nel passaggio da una stazione a un’altra, e poi scendere e dimenticare così la verità della distanza, che non si misura più in termini di spazio ma di tempo.
Ma i treni a Tokyo non sempre dimenticano chi ha viaggiato al loro interno. Arrivano spesso al capolinea conservando il passaggio di migliaia di persone. Sono gli oggetti che raccolgono ad ogni corsa gli addetti e i capotreno. Come un rastrellino sulla sabbia, un passino che conserva grumi di farina. Perchè molte di quelle persone dimenticano quotidianamente a bordo dei convogli un frammento della propria giornata, di quella che inzia, che è ancora in corso o di quella che finisce.
Sono i wasuremono 忘れ物, le cose che si dimenticano al presente, le cose che si sono dimenticate al passato. Sono gli otoshimono 落し物, le cose che si lasciano cadere, smarrimenti delle mani, di una borsa, di una tasca ballerina. Sono gli oggetti lasciati dietro sè.
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E in ogni stazione, in ogni grande magazzino, università o ufficio, vi è un centro che raccoglie gli oggetti smarriti, che mette insieme piccoli tesori personali che i luoghi non hanno assorbito, perchè se la natura cela, i materiali duri della città tendono invece a svelare. A volte hanno nomi precisi come otoshimono center 落し物センター, a volte assorbono anche molte altre funzioni.
Se gli oggetti sono stati scelti, se gli oggetti sono stati amati, ogni perdita è un lutto. Ogni wasuremono e otoshimono è qualcosa che rattrista e non lascia indifferenti.
Così che per quanto “inutile” possa sembrare, quando trovo questi rimasugli sulla strada o in un negozio, vado all’ufficio preposto o al koban (cabinotto della polizia di quartiere) a depositare non solo portafogli e carte Suica, ma anche pupazzetti, sciarpe, ciondolini. Giorni fa in aeroporto ho trovato un orecchino, per strada uno strap di Kumamon.
Questa a Tokyo è la stagione dei guanti. Decine di mani dimenticate per la strada. E l’unica cosa da fare è poggiare questi figli spaiati di mani minori in una posizione che spicchi. Così che da lontano, infilati dritti e spalancati sul pomello di un vaso di fiori, appese a un cartello di segnaletica stradale, poggiati su una panchina, appaiono quasi come un saluto e insieme uno stop, fermati, aspetta, cosa fai?. Creste di gallo, scherzi di bambini.
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E capita tanto spesso anche a me. Che esco con un mucchietto di oggetti la mattina e torno a casa senza alcuni di loro.
Come l’ombrello rosa pieghevole lasciato ai miei piedi giorni fa sulla Linea Tozai perchè ero troppo concentrata nella scrittura e, quando a Nakano il treno ha abbandonato la superficie e ha ceduto al sottosuolo, avevo già dimenticato che fuori pioveva ancora. E l’ombrello si è fatto wasuremono.
E poi chiavette con dentro proiezioni per i seminari, spezzoni di film da analizzare, lezioni intere, articoli in divenire, racconti, il mio diario di dieci anni, fotografie. Ma anche penne a inchiostro, cuffie, elastici per capelli, guanti, cerotti, matite per gli occhi, medicine. Disattenzione del vivere sopra alle righe dell’ora e del qui, perchè la testa è immersa in tante storie, in frasi che ti vengono in mente all’improvviso e corri ad appuntarti. Perchè evaporano le idee.
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Sono quelli soprattutto i momenti in cui perdo pezzi. In cui gli oggetti mi abbandonano, forse gelosi di tanta disattenzione.
Ma le cose in Giappone godono nel tempo di un privilegio che rimane: diventano spiriti. Una bella credenza giapponese, chiamata tsukumogami 付喪神, vuole che le cose che vivono un centinaio d’anni si facciano una sorta di deità.
Cento anni è quanto basta a un oggetto per acquisire un’anima. Perchè assorbe il tempo che passa e con esso la saggezza che da esso deriva. È il perdurare nonostante tutto, lungo le ere degli uomini capricciosi ed incostanti, assorbendo il loro amore e la loro cura, tollerando l’incuria, osservando spazi cambiare freneticamente come in un time-lapse.
Ma il cento è solo un numero approssimato per dire che ci vuole tanto tempo.
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L’occidente ha frainteso questa leggenda e immagina lo tsukumogami come uno spirito, uno solo, che entra negli oggetti e vi si installa.
E invece è proprio quella cosa che cambia e quando la credenza scende nel dettaglio, si comprende come gli oggetti premino e portino del bene a chi li cura, come portino sventura a chi li maltratta, li disprezza o li ignora. Che gli oggetti avvertano qualcosa, che l’anima acquisita in lungo tempo li renda grati e fortunati o vendicativi e maledetti. L’harikuyo 針供養 del resto serve proprio a questo. A ringraziarli per tempo.
Quanti oggetti adesso superano due o tre generazioni? Quanti superano uno o due cambi di stagione? Un trasloco? Una relazione che inizia e una che finisce? Una moda?
Basta saperlo. Che la cura premia. Che possiamo offrire un’anima a una casa, a un mobile o anche a un libro. Che donandola a loro ci verrà del bene.
E forse avremo infine più cura anche di noi stessi.
Post letto tutto d’un fiato <3
E ho immaginato di essere lì nel silenzio ovattato della neve ad ammirare tutto quel candore che improvvisamente si fa blu *_*
E poi a sorpresa notare che la tazza di tè che accompagna quella deliziosa ciotola di frutta è sorella di una tazza che ho a casa.
Due tazze che si ritrovano all'improvviso nonostante la distanza
Oggetti gemelli o anche solo lontani fratelli o parenti. Questa coincidenza e’ deliziosa, come i tuoi commenti sempre, del resto.
In viaggio verso non so più dove dimenticai in treno uno scialle. Quelli che fanno un po di tutto: riparano la gola dall’aria condizionata, avvolgono le spalle dalla brezza marina estiva. Era bello, morbidissimo, di un bel colore viola scuro. Me ne accorsi solo quando salii in pullman e rabbrividii per l’aria condizionata. Che tristezza! Non ne ho più trovato uno uguale. Però mi auguro sempre che ora cinga le spalle di un’altra persona, una ragazza, una donna e che così possa essere apprezzato da qualcun altro. E che col tempo acquisti la sua anima.
Bel post, come sempre. Un abbraccio e in bocca al lupo per il libro!
E’ bello lo spirito con cui hai perdonato te stessa della distrazione e l’oggetto della sua fuga. L’ho sentito dire tanto spesso. Che alal fine si e’ fatto concetto anche mio. Quel che davvero mi dispiace e’ pensare a un oggetto abbandonato, quasi lo umanizzassi.
Ho sempre creduto nella vita delle cose. Ho sempre conservato, dallo scontrino attaccato meticolosamente sul diario di scuola, che mi avrebbe aiutato a ricordare un cappuccino in buona compagnia, alla boccetta vuota del profumo che mi aveva accompagnata in quegli anni e che poi non avrei mai più ritrovato perché fuori produzione.
Ogni volta scegliere da cosa liberarmi era una sofferenza, come se ammettessi di abbandonare un ricordo che faceva parte di me, cancellare attimi, momenti che forse solo per me erano necessari.
Col tempo ho appreso a lasciar andare e oggi sono più leggera. Difficilmente ho perso cose, cose preziose, e leggere qui che dopo “cento” anni i nostri oggetti, quelli che hanno resistito, prendono un’anima propria, è una cosa stupenda.
Mi piace pensarlo, mi piace crederci.
Non sapevo di questa cosa. Grazie alle tue parole.
il pezzo dei guanti è meraviglioso! Hai una grande immaginazione, una bellissima capacità.
é una cosa così bella da pensare…così come tempo fa,ai tempi dei forni,pozzi e lampade ad olio, c’erano un sacco di divinità a essi legate…guarda caso l’ho scoperto leggendo un libro dal titolo “l’enciclopedia dei mostri Giapponesi” di Shigeru Mizuki!
La cura del tempo….grazie
Bello!
Bellissimo pensiero. Sono molti gli oggetti cui tengo, che conservo da tanto tempo e che hanno già un destinatario futuro perché spero siano conservati con la stessa cura, tramandati, ricordati e ora, grazie a te Laura, è ancora più bello per me pensare che, se avrò scelto bene, un giorno acquisiranno anche un’anima.
La prima volta che andai in Giappone persi un guanto. Lo persi nel fiume di persone, all’interno dei giardini imperiali, che andavano a salutare con le loro bandierine l’imperatore, perchè era il suo compleanno. Dopo una lunghissima passeggiata armata anch’io di bandierina, andai poco convinta alla bancarella del “lost and found” e inaspettatamente lo ritrovai ben catalogo e etichettato su di una mensolina che mi aspettava. Il Giappone credo che sia anche in po’ questo: la sensibilità e il rispetto per le cose altrui…nello stesso viaggio dimenticammo uno zaino con dentro il passaporto su un vagone nella stazione di Tokyo…Ritrovammo anche quello: zaino, passaporto e ipod…Grazie Giappone per questo insegnamento di civiltà! =)
Che belli i vostri ricordi. Di cose sparire e recuperate. Di una pproccio grato a una cultura altra. ❤
Cara Laura,
scusa se ti contatto con un commento ma non sono riuscita a trovare un indirizzo email e tramite la tua pagina FB non è possibile inviare messaggi. Volevo segnalare, se ti interessa, il post che che ho appena pubblicato sul mio blog La stanza del traduttore di Maria Teresa Orsi: http://lastanzadeltraduttore.com/2014/01/20/la-scimmia-parlante/
Un caro saluto,
Elena
Fantastico Elena! Lo ritwitto/facebook-izzo (???!!!) oggi stesso, in un orario con piu’ affluenza :*
Passa ogni volta che vuoi e segnalami i tuoi articoli cosi’ ben fatti!!! Mi piace molto il tuo lavoro!!!
Laura
Grazie Laura! Un caro saluto,
Elena
Ciao Laura, ci siamo scambiate un paio di commenti oggi su FB, sotto alla foto di Ginzan Onsen.
Vorrei poterti scrivere una mail, tra le altre cose anche riguardo alla presentazione del tuo romanzo, dal momento che faccio parte di un’associazione italo-giapponese in una delle località in cui lo presenterai.
Se mi scrivi una riga con il tuo indirizzo ti spiego meglio.
よろしくお願いします!
Pensiamo sempre agli oggetti come se fossero persone, pensiamo sempre alle persone come se fossero oggetti, ma oggetti speciali: wasuremono o otoshimono. Non è una constatazione, ma un augurio, una speranza attesa. Solo così si può avere rispetto. Per le cose e per le persone. Ce n’è bisogno.
Patri
Proprio non sapevo di questa credenza, del donare uno spirito alle cose, smarrite nel tempo, e ne sono rimasta piacevolmente colpita questo perchè anche io ho smarrito oggetti, e purtroppo un paio di questi erano davvero importanti, come il paio di occhiali da sole che mio padre mi regalò in occasione degli esami del terzo anno delle scuole superiori ed ancora un fazzoletto cucito e decorato dalla mia dolce nonna ( la quale probabilmente avrà sorriso dichiarandomi una “testona” per averlo lasciato cadere dalle tasche). È una sensazione nostalgica che si placa un pò mentre rileggo le tue parole. Voglio che questi oggetti abbiano davvero un’ anima, perchè la meritano!!
Grazie per raccontarci di tutte queste meraviglie del Giappone!!
Posso dire, finalmente, che ci vedremo alla presentazione del tuo libro!!! ^_^ Che emozione!!!!
Giulia
Proprio nel parco di Ueno davanti ad un campo di baseball ho dimenticato la mia guida del Giappone.Dentro c’erano disegni, appunti , bigliettini.. un viaggio nel viaggio! Quando sono tornata indietro non c’era più ho chiesto persino alla polizia nel caso qualcuno l’avesse riconsegnata ma niente. Mi piace pensare che un pezzetto di me abbia trovato casa lì da qualche parte perché dopotutto è del Giappone che voleva raccontare!
Che pensiero bello Francesca. Davvero tanto poetico.
La scorsa estate sono stata ad una piccola mostra di Sayaka Ganz, un’artista che si propone di donare nuova vita e forse nuove attenzioni ad oggetti che non servono più, secondo il giudizio dei loro frettolosi precedenti proprietari. Mi è piaciuta tantissimo!
Penso spesso ai piccoli oggetti che mi sono sfuggiti in diverse città, alle nuove “avventure” che staranno vivendo, ma d’ora in poi cercherò di ricordare quelli che ho dimenticato e prestare più attenzione alle piccole cose che mi accompagnano ogni giorno.
Quella coppa di frutta mi ispira tantissimo!
Un abbraccio a tutti voi!
Non la conoscevo, sai? Farò una piccola ricerca e grazie fin da ora per questo commento pieno di significato. :*
Laura, sempre un piacere tornare a leggerti.
Come al solito, ogni giorno, c’è da imparare qualcosa in più di questa cultura tanto affascinante quanto complessa.
Non conoscevo questa credenza giapponese e sono tanto felice tu ne abbia dedicato un post. E mi sono venuti in mente i miei viaggi, quelli giornalieri e degli oggetti che ho lasciato indietro durante la mia vita. “Poca attenzione, troppa distrazione!” mi ripeto continuamente e mi rendo conto che in maniera diversa, anche un po’ sciocca, sono due espressioni che indicano la medesima cosa. E penso che prestando loro così poca attenzione li ho tolti alle mani di qualcuno che, probabilmente, se ne sarebbe preso più cura di me.
Non lo so, è bello pensare che possano assorbire storia e magari chissà perfino una propria coscienza! Pensare che assorbano frammenti differenti di vita e che possano donare momenti di gioia.
I cento anni sono relativi, sono indicativi del tempo di cui necessitano perché vivano di storie passate. Trovo sia una cosa estremamente dolce e altrettanto nostalgica. E’ bellissimo.
Complimenti per il blog..poesia per l’anima! Il Giappone non smette mai di stupirmi..forse farò una scappatina lì. .
chisa’ che spirito avranno i miei vecchissimi oggetti per la cerimonia del te’ comprati in Giappone 🙂
Io ricordo di aver letto un libro intitolato “L’isola del tempo perso” dove andavano a finire tutti gli oggetti dimenticati XD da bambina mi confortavo così quando perdevo qualcosa a cui tenevo, mi dicevo che non l’avevo persa ma che era solo temporaneamente in un altro posto e che prima o poi l’avrei ritrovata XD
Bellissimo post. …come sempre; )
Sunt lacrimae rerum
Ci credo da parecchio…nel 2019 la fede della mia prozia compira’ cento anni. La faccio vivere indossandola e rendendo omaggio e ricordo a zia Angelina
Che ricordi che mi fai venire in mente cara Laura … a Kanazawa ho rincorso una ragazzina che aveva fatto cadere un paio di calze dalla sua borsa sportiva … mi è spiaciuto un sacco non essere riuscita a raggiungerla in tempo … volava in mezzo alla folla e ha preso il treno con un balzo … se solo fossi stata più allenata l’avrei potuta raggiungere … comunque quelle calze le ho posate all’entrata della stazione, sperando che il giorno dopo le ritrovasse … ahahaha … e pensare che lì per lì mi è sembrato un gesto insignificante … ha acquisito significato ora attraverso le tue bellissime parole…
Letto e stra letto! Mi incanti con le tue parole, crei una sorta di magico legame con il lettore.
Ciao Laura, ho scoperto da poco il tuo blog e l’ho trovato davvero significativo… Ora sto studiando letteratura giapponese, ma appena potrò cercherò di leggere altri tuoi post! Ho letto la tua biografia e ti “invidio” un pò perchè, anche io, come te ho una passione per il Giappone e vorrei vivere lì o comunque avere la possibilità di viverlo e non solo di conoscerlo attraverso i racconti della gente… Sono all’ultimo anno di Mediazione Linguistica e mi piacerebbe molto dopo la laurea andare a studiare in Giappone ma purtroppo non è così semplice perchè non so come cercare le università per studenti stranieri.. 🙁 Io vorrei tanto specializzarmi nell’ambito dell’interpretazione ma in Italia ahimè non esiste una magistrale che abbia un corso che includa il giapponese ! Hai qualche consiglio da darmi ?! Grazie mille un saluto !
Salve Laura,
molto interessante e colorato il tuo sito.
Ti invito a dare un’occhiata al mio blog
http://asia-monamour.blogspot.it/
che parla più in generale di Asia. Io vivo a Taiwan e ho studiato cinese e, come te, insegno anche italiano. 🙂
In bocca al lupo per tutto!
Teresa
Ciao Laura,
è stato bello ascoltarti ieri a Lecce. Mi hai fatto viaggiare, mi hai emozionato e mi hai ispirato. Ti ringrazio per questo.
Come ti accennavo, vivo a Taipei da un anno e mezzo, dopo 5 anni in Cina e tanti viaggi in Asia. L’Asia che io amo, che è quasi una malattia per me. Al contrario di te, io avverto un bisogno quasi fisico di ingurgitarla tutta, di assaggiare ogni cosa, ogni pezzo, ogni angolo di questo continente stupendo e non riesco a stare ferma, devo scappare, perdermi, ritornare e poi di nuovo cercare. Non so cosa, non so perché, ma vorrei vivere in ogni posto in cui vado e per questo avrei bisogno delle 7 vite dei gatti. Forse è la consapevolezza di averne solo una che mi mette questa fretta, questa frenesia insaziabile.
Quello con Taiwan non è stato un rapporto proprio d’amore, non sono mai andata con piacere, ma ieri ho capito che devo essere più morbida, più tollerante con questo posto e forse devo cercare di perdonargli le sue bruttezze, perchè come diceva Terzani: “Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare. Darsi tempo, stare seduti in una casa da tè a osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l’amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro d’umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare”.
E’ un po’ il sunto di quello che hai raccontato anche tu ieri.
Ti auguro una vita di scoperte e di meraviglie.
Un saluto leccese,
Teresa
Avevo letto questo tuo commento ed e’ sempre bello incrociare persone in gamba come te. Ti ringrazio per il tuo messaggio sentito, per questa malattia che si chiama Asia e per condividerla tramite scritti e fotografie tanto belle. Un caro saluto anche a te! Laura
Grazie Laura. Ti abbraccio.
Grazie Laura perché ogni giorno regali un po di poesia alla mia vita con questi racconti meravigliosi e toccanti di una terra che amo come se fosse la mia casa…chissà forse qualche centinaio di anni fa, anch’io ero un wasuremono,che nel tempo, ha tenuto stretto nel suo cuore l’amore per questo meraviglioso paese.
Grazie ancora ♡
Giusto oggi mi è capitato di vedere un documentario in cui spiegavano il perché in Giappone tutto abbia una mascotte, spiegavano che in parte deriva dalla tradizione pittorica giapponese in parte dalla componente animistica della cultura giapponese per cui ogni oggetto ha un’anima e quindi un prodotto con una mascotte ha la capacità di autopromuoversi e parlare con il cliente, aiutarlo nella scelta e fare da intermediario 🙂 l’ho trovato molto interessante come argomento!